Roma FF17 – Jeong-sun: recensione del film
Un film lineare che mostra la regolarità degli abusi con uno sguardo acuto e inedito.
Non ci sono eccessi musicali, mentre la macchina da presa della giovane Jeong Ji-hye, che con Jeong-sun firma il suo debutto alla regia, registra la vita della protagonista; un’esistenza da operaia, da madre sola, una donna di mezza età che in fondo non si rassegna a essere l’ultima della lista, lanciandosi in incandescenze che si premura subito di redarguire per dovere, per mancanza di alternative.
La regista pone l’accento sui crimini sessuali digitali in Corea del Sud e lo fa con un film lineare, con una storia che potrebbe appartenere a chiunque, ma che in questo caso è quella di Jeong-sun e si agita sullo sfondo di una fabbrica, uno di quei luoghi in cui un essere umano fa presto a divenire solo un numero, in cui la differenza tra reparti si fa linea di demarcazione tra ceti sociali e in cui una chiacchierata tra colleghi e una relazione fanno presto a mettere alla gogna la parte più debole della coppia che, come troppo spesso accade, è quella femminile.
Jeong-sun cerca di perseguire il proprio piacere, rifuggendolo al contempo per vergogna, per non compromettere la propria reputazione. Col matrimonio della figlia alle porte, diviene mentalmente impossibile per lei sostenere il peso di una relazione sentimentale, perciò la nasconde, la evita, finché un video girato in un momento intimo la mette alla berlina, stravolgendo completamente la sua vita.
Jeong-sun – la realtà operaia e il revenge porn “attenuato” dall’età
È uno de pochi momenti musicali del film, che per il resto si adagia sui suoni della quotidianità: una scelta intelligente, che ci fa entrare nella mente la canzone che la protagonista canta, in slip e reggiseno, filmata dal suo amante. La vediamo di fatto poche volte, ma la ascoltiamo anche troppo spesso: quella voce ci informa che qualcuno, ancora uno, ha avuto accesso a quel video, compromettendo ulteriormente la reputazione della donna.
Lo sguardo di Jeong Ji-hye è acuto, tagliente e pone l’accento sull’età della malcapitata, sulle vicissitudini che si trova ad attraversare in un mondo che conosce appena. Una volta interpellata la legge, infatti, non si può non notare come la difficoltà in merito alla semplice rimozione del file si acuisca anche dal fatto di non essere una ragazza: una svalutazione fisica e psicologica che non ha di fatto valenza alcuna ai fini legali, ma che ci aiuta a comprendere la disparità tra generi in ogni settore. Se l’amante della protagonista, infatti, sceglie di condividere il video per imporsi tra i suoi colleghi e per avvalorare la sua condizione, per la donna la situazione è completamente ribaltata.
Jeong-sun ci guida negli abissi della frustrazione mentale, mette in risalto la difficoltà di comprendere quel mondo, nonché il basso grado d’istruzione del personaggio attraverso il paragone con la figlia, che invece sovverte i ruoli naturali per guidare la madre verso la rinascita, per spingerla a lottare. Iconiche, a tal proposito, le inquadrature che ci mostrano la donna mentre scivola lentamente verso la depressione, in cui tenta di togliersi il respiro fallendo, in cui rifiuta il contatto col mondo esterno.
Una storia familiare, una vicenda sul riscatto, sul pentimento, sul tradimento, che non ci fa sentire soli nella debolezza di cedere a un compromesso – come nel caso di Jeong-sun, che alla fine accetterà un compenso in denaro come risarcimento – ma che allo stesso tempo ci pungola col rimorso. La sensazione di essere stata comprata avvilisce l’animo della donna, fino a far uscire il suo lato più duro, più verace, anche più sfacciato ed empatico. La sua sarà una rivincita perlopiù morale, uno schiaffo figurato alle apparenze e uno reale al suo capo.
Il film, presentato in concorso alla Festa del Cinema di Roma 2022, ritrae un abuso purtroppo regolare con uno sguardo femminile, una regia ligia che fa superare a Jeong Ji-hye questa prima prova dietro la macchina da presa, rendendo la pellicola apprezzabile.