Jaula: recensione del film spagnolo Netflix

La recensione dell’opera prima del regista madrileno Ignacio Tatay con Elena Anaya, rilasciata su Netflix il 24 ottobre 2022.

La cinematografia spagnola, a cominciare da quella specificatamente di genere, ha sempre potuto contare su una cantera capace di sfornare talenti in grado di imporsi sia dentro che al di fuori dei confini nazionali. Tra gli ultimi nomi a sorprendere positivamente tanto gli addetti ai lavori quanto il pubblico troviamo quello del madrileno Ignacio Tatay, che con la sua opera prima dal titolo Jaula ha confermato quanto di buono fatto nella produzione breve, piazzandosi subito ai piani alti delle classifiche dei film più visti su Netflix di gran parte di quei Paesi – Italia compresa – laddove la pellicola, dopo l’uscita nelle sale iberiche lo scorso settembre, è stata rilasciata il 24 ottobre 2022.    

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Jaula conferma quanto di buono il regista Ignacio Tatay ha fatto nel campo dei cortometraggi

Jaula, recensione cinematographe.it

Tatay, ci porta al seguito di una coppia che di ritorno da una cena con amici si imbatte in una bambina che cammina lungo la strada palesemente traumatizzata. Decidono di aiutarla e accompagnarla dalle autorità, ma a distanza di qualche tempo, scopriranno che nessuno è però venuto a cercarla, come se non avesse nessuno interessato a lei. Così, decideranno di accoglierla a casa loro per provare a decifrare il suo comportamento e risalire alla sua identità, arrivando a scoprire che la bambina errante è ossessionata da un presunto mostro che la punirà ogni volta che proverà ad attraversare un quadrato di gesso disegnato sul terreno. Paula, questo il nome della donna che decide di accudirla, creerà con lei un forte legame, un legame quasi materno che le consentirà di addentrarsi nella personalità tormentata della piccola per aiutarla a combattere i suoi demoni.

Jaula cambia pelle in corsa passando dall’horror soprannaturale al thriller psicologico

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Letta la sinossi e vista la prima parte della sua trasposizione, lo spettatore viene spinto a pensare che la pellicola in questione sia l’ennesimo fanta-horror che chiama in causa la figura del boogeyman, del babau o dell’uomo nero che dir si voglia.  Il regista spagnolo, con la complicità in fase di scrittura di Isabel Peña, è bravissimo a depistare lo spettatore, gettando un’esca che consiste nell’assecondare in tutto e per tutto i temi e gli stilemi del suddetto filone, dal quale poi sarà altrettanto bravo a sganciarsi per entrare sul territorio minato del thriller psicologico. Si passa così  da quei film costruiti su questa oscura creatura come la trilogia di Boogeyman, Sinister, El páramo o Babadook a qualcosa di ben altra natura, abbandonando di conseguenza l’orrore e il soprannaturale per passare a un meccanismo narrativo e drammaturgico segnato e regolato dalle regole d’ingaggio della tensione e sospetto. Due elementi che nella seconda parte diventano cruciali e fanno salire di livello la scrittura, la messa in quadro e le performance attoriali, a cominciare da quella di Elena Anaya che in Jaula interpreta il ruolo di Paula.      

Un esordio davvero solido dal punto di vista registico

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Lo switch nella timeline, al quale segue un drastico cambio di pelle e di genere, rappresenta il colpo di coda di un film che proprio nella mutazione genetica trova la sua ragione d’essere e il modo per prendere in contropiede il fruitore, con quest’ultimo che inizialmente pensa di doversi confrontare con qualcosa che poi quando meno se lo aspetta cambia forma, colore, tono e sostanza sotto i suoi occhi svelando poco a poco la verità. Jaula si presenta come un esordio davvero solido dal punto di vista registico, con una messa in quadro stilisticamente ed esteticamente matura ben al di sopra della media nazionale degli esordienti.      

Regia - 4
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 4
Emozione - 3.5

3.8

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