Berlinale 2020 – Irradiated: recensione del film di Rithy Panh

Irradiated, il film di Rithy Panh premiato alla Berlinale 2020 è un'opera brutale e malinconica

Il concorso della 70° edizione del festival di Berlino ha proposto il potente documentario Irradiated di Rithy Panh. Il regista cambogiano divide lo schermo in tre parti, mostrando materiale di archivio per provare a comprendere le cause di quella tragedia che ha toccato la vita di molte persone, civili e militari.
Panh, nominato agli Oscar per il precedente The Missing Picture, si impegna a scavare negli orrori di un passato che ha coinvolto anche la sua stessa famiglia e pone l’accento sulla violenza di cui un essere umano può essere consapevolmente responsabile.

Irradiated infatti si potrebbe considerare un vero e proprio viaggio nella disperazione e nella sofferenza, con una messa in scena evocativa e delle voci fuoricampo che donano al documentario una dimensione poetica efficace a veicolare un messaggio di denuncia. I contributi video che raccontano la guerra si alternano a vecchie foto custodi di ricordi dolorosi e filmati di genocidi e massacri etnici che hanno segnato la storia dell’umanità. Perchè non bisogna dimenticare per sperare in un futuro diverso e migliore.
Una ballerina della tradizione giapponese Buto, dipinta dalla testa ai piedi di bianco, è una delle immagini che rimane più impresse nella mente dello spettatore. La colonna sonora di Marc Marder, inoltre, accompagna il tutto in modo però forse un po’ troppo invadente.

Irradiated: il viaggio disperato di Rithy Panh

irradiated cinematographe.it

Irradiated è un film brutale e malinconico con alcune sequenze borderline che colpiscono nel profondo, come i cadaveri gettati in fosse comuni come “bambole di pezza”. Panh riesce a creare un’esperienza corale della disumanità dell’uomo per l’uomo, con scelte di stile ricercate e complici della forma. Il regista punta molto sulla ripetizione delle immagini e dei concetti perché, come dice a un certo punto il narratore, “Devi ripetere te stesso, perché il male scorre in profondità”.
La devastazione di Hiroshima e Nagasaki, i campi di concentramento nazisti, cimiteri di guerra e campi di croci bianche suggeriscono pagine buie della storia. Alla fine si arriva alla conclusione che la guerra è un vero inferno, ma anche che gli esseri umani sanno essere molto crudeli e il regista sembra chiedere al pubblico di farsi delle domande e trovare la propria interpretazione di quanto accaduto. La regia di Panh è creativa, ambiziosa e capace di creare un film di forte impatto visivo ed emotivo. Ricorda i maggiori traumi del 20° secolo e le cicatrici che si sono lasciati alle spalle, ma forse non è un prodotto adatto a concorrere per l’Orso d’Oro, quanto piuttosto destinato a una sezione collaterale.

Tuttavia il finale del documentario offre un barlume di speranza, mostrando come gli uomini riescono a procedere nonostante gli orrori che hanno affrontato. I cinefili riconosceranno sequenze di film come Night and Fog di Alain Resnais e il famoso Hiroshima, Mon Amour, o il documentario Cronaca di un’estate del 1961 di Edgar Morin, in cui cammina tra le strade di Parigi raccontando la sua storia di sopravvissuta all’Olocausto. Irradiated è sicuramente da vedere, ma non per coloro che sono particolarmente sensibili a immagini esplicite e forti da metabolizzare.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Recitazione - 2
Sonoro - 0
Emozione - 3

2.2

Tags: Berlinale