Insidious: L’Ultima Chiave – la recensione del film di Adam Robitel

Adam Robitel dirige Insidious: L'Ultima Chiave, il quarto capitolo della saga creata da James Wan, ridefinendo i canoni del genere e introducendo una struggente storia di origini che crea coinvolgimento emotivo. Il miglior Insidious della saga dopo il primo film!

Dopo il non esaltante Insidious 3 – L’inizio, diretto da Leigh Whannell, la produzione ha pensato bene di voler cambiare rotta, di dare alla saga quel tocco vintage mirabilmente giostrato su una storia di origini che tanto ha fatto bene all’altro franchise diretto da James Wan, L’Evocazione – The Conjuring. Dirigere Insidious 4: L’ultima chiave era di fatto un compito non particolarmente facile, visto che il franchise si sta inesorabilmente chiudendo proprio per la sua impostazione iniziale. Gli ultimi due film avevano presentato dei chiari difetti strutturali dovuti alla difficoltà di espandere tematiche che sembravano tuttavia non necessitare di nuova luce.

Nel cinema odierno sono particolarmente efficaci le storie, fatte di sofferenza, amore, redenzione, vendetta, ed è proprio su questi punti che si basa la regia del giovanissimo Adam Robitel, un regista tutt’altro che alle prime armi. Già nel suo inedito in Italia (che noi abbiamo avuto il piacere di vedere) The Taking of Deborah Loganil regista aveva dimostrato di avere le idee ben chiare di ciò di cui oggi il cinema horror ha bisogno: storie asciutte, incisive, che mirano subito all’obiettivo principale, ovvero il terrore che corre parallelamente con il dramma interiore dell’essere umano.

Insidious: L’Ultima Chiave – demoni empirici e reali nel quarto capitolo della saga

Lo stesso dramma interiore che vive la settantenne, ormai protagonista indiscussa della saga, Lin Shaye. Insidious: L’ultima chiave scava nelle profondità dell’animo di Elise, la celebre sensitiva che abbiamo conosciuto nel film del 2010, dove recitava un ruolo non particolarmente centrale, ma che con il passare del tempo è divenuto il punto cardine dell’opera. Il film diretto da Adam Robitel vive di continui flashback che rievocano la giovinezza della sensitiva, fatta di sofferenza, crudeltà e soprattutto credenza in qualcosa che si nasconde proprio dietro il buco di una serratura.

Ed è proprio intorno a una porta da aprire che si snoda la trama del nuovo capitolo della saga di Insidious. Una porta, uno scantinato e i suoi più cupi misteri, una storia che rievoca le origini violente e sfortunate della giovane Elise Rainier, una ragazza che ha vissuto l’orrore delle persecuzioni, delle punizioni all’ombra di un padre crudele e di una madre amorevole che cercava in tutti i modi di proteggere il suo grande mistero. Elise infatti riusciva a vedere e a parlare con l’aldilà, un dono non comune che scatenava il terrore del fratello Christian e del padre.

Il passato di Elise torna a galla divenendo il fulcro di Insidious: L’Ultima Chiave

insidious 4 l'ultima chiave, Cinematographe

Dopo molti anni dai tragici eventi accaduti nella sua casa nativa, Elise viene richiamata da un uomo che ha disperatamente bisogno di lei. Quest’ultimo vive esattamente in quella stessa casa e teme che qualcosa di oscuro dimori lì dentro. La sensitiva si sente ovviamente chiamata in causa e parte verso dove tutto è cominciato molti anni prima con gli inseparabili Specs e Tucker (che donano quel tocco comico al film, riuscendo a far divertire e non poco). Elise dovrà affrontare le sue paure più profonde, combattendo contro un demone che stride e graffia nel suo passato ormai da troppo tempo.

Basato su una struttura che ormai è consolidata da tempo, Insidious: L’ultima chiave crea una storia di origini ricca di coinvolgimento emotivo, attraverso una regia pulita ed esplicativa, a tratti quasi documentaristica (le punizioni su Elise fanno male quasi quanto nel film). Il vero merito di questo quarto capitolo è l’aver creato un tema basato su un personaggio che va oltre il semplice “acchiappademoni”, abbiamo finalmente visto quel lato di Elise che tutti volevamo conoscere. Il film è riuscito a rispondere alla domanda, chi era Elise? Ma soprattutto perché proprio Elise?

I continui flashback, alternati con una narrazione tambureggiante, concorrono a distendere su due binari paralleli i demoni dell’altrove con i demoni del mondo reale generando un sistema ad ampio respiro che coinvolge maggiormente lo spettatore e tenendo l’attenzione sempre alta con fasi horror che si avvicendano a fasi thrilling. A stemperare la tensione qualche battuta di Specs e Tucker, che rievocano sempre più l’atmosfera scanzonata alla Ghostbusters.

Entrare subito nel vivo dell’opera può essere rischioso (come si suol dire: la gatta frettolosa fa figli ciechi!), ma in questo caso l’atmosfera iniziale contribuisce a creare un clima teso e cupo accentuato da una fotografia incredibilmente dark e a tratti gotica. Adam Robitel riesce a coinvolgere mentalmente e spiritualmente in una storia che pone sullo stesso piano il concetto di paura reale e quello puramente empirico, c’è una crudeltà che può essere anche maggiore nel nostro mondo e Robitel ce la fa vivere sulla nostra pelle.

Insidious – L’ultima chiave, pur con qualche difetto dovuto dall’eccessivo dilungarsi dei fatti, è senza dubbio il migliore del franchise dopo il primo film perché amplia il mondo di Elise, aprendo porte finora chiuse e raccontando tematiche pur sempre romanzate, ma terribilmente attuali attraverso le quali sviscerare l’entità autentica dei mostri che ci circondano.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3
Sonoro - 2.5
Emozione - 3

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