The Taking of Deborah Logan: recensione

Non ci stancheremo mai di ripeterlo, l’horror è un arte e come pochi generi cinematografici, serve fantasia, coraggio di osare e sangue freddo. Così come nella commedia è difficile far ridere, è difficile in un horror moderno spaventare, saper rendere gelido un istante e magari imprimere un incessante battito cardiaco. Nella moderna l’horror ha perso la sua carica emotiva, lasciando spazio ai più convenzionali effetti speciali, più semplici e immediati a scapito magari della sceneggiatura, sempre più resa di contorno e manchevole di veri elementi di paura. La tecnica del jump scare ha iniziato via via a prendere piede, diventando di fatto la più convenzionale forma tecnica utilizzata, assieme a quella del convenzionale ormai found footage. Dopo il clamoroso successo di Paranormal Activity, questo genere ha ripreso piede nel cinema moderno sostituendo quasi del tutto l’horror girato e lavorato, ormai veramente a corto di inventiva. Ma come tutte le brillanti idee occorre dopotutto rinnovare dopo un po’ altrimenti si cade nella ripetitività.

The Taking of Deborah Logan è un prodotto che si ferma a metà, tra innovazione e amore per il mos maiorum, un incrocio tra chiavi moderne e riletture di classici del genere. Il debuttate regista Adam Robitel mette in campo il meglio di se, come di consueto si fa in un’opera prima e riesce a spaventare con una storia dagli echi paranormali e demoniaci. Non è una novità il fatto di trovarsi di fronte ad una donna malata che in realtà nasconde ben altre impurità, ma la trattazione dell’argomento e lo sviluppo sono davvero degni di menzione speciale, il librarsi della trama è armonioso e lo spettatore ha il tempo giusto per abituarsi al concetto di paura. Davvero straordinaria la prova attoriale di Jill Larson (Deborah Logan) che riesce a donare verità e sofferenza al suo ruolo, mai cadendo nella macchietta o nell’azione teatrale della parte che gli è affidata. La donna vive la malattia e parallelamente un qualcosa di oscuro, la degenerazione è tambureggiante e il suo pathos cresce e riempie la scena.

The Taking of Deborah Logan – una spirale tra malattia e demoniache presenze

The taking of deborah logan

Deborah Logan, una normale donna di mezza età è affetta da morbo di Alzheimer, una malattia degenerativa che la porterà dapprima a non riconoscere più nessuno e infine alla più totale demenza. Il film inizia come un documentario per studiare la lenta e inesorabile evoluzione della malattia che ha colpito la povera signora Deborah, sempre restia durante la ripresa dei filmati. La lenta evoluzione della malattia porterà la signora a sviluppare strani atteggiamenti e bizzarre situazioni, apparentemente scambiate come un normale decorso clinico. Il cameraman della situazione inizia però a sospettare qualcosa, quando trova un filmato di Deborah mentre parlava in francese, durante il suo vecchio lavoro di centralinista e nel discorso erano presenti serpenti e sacrifici strani. Inoltre scopre che la linea 337 del centralino apparteneva ad un medico del luogo chiamato Henry Desjardins, scomparso misteriosamente dopo una serie di omicidi a sfondo rituale e cannibale. La donna continua a peggiorare e ora non è solo il cameraman a rendersi conto che forse si trovano di fronte non solo ad una malattia degenerativa ma ad un vera e propria possessione demoniaca.

Prodotto nientemeno che da Bryan Singer, il regista di X-MenThe Taking of Deborah Logan esplora con apprezzabile taglio documentaristico una delle piaghe del nostro millennio, l’originalità sta nella trattazione dell’argomento e nell’intersecazione dei due stati: quello di malata e quello demoniaco. Apparentemente i primi segni di possessioni di Deborah, quali l’inspiegabile violenza e le cicatrici sul corpo sono chiari segni di una forma di Alzheimer aggressiva, l’evoluzione finale poi lascia insindacabilmente il posto alla possessione che esce fuori con tutta la sua veemenza e la sua deformità carnale. Apprezzabile è l’uso della tecnica del found footage, non originale ma ben strutturata con sapienti giochi di luci e una sagace ricerca stilistica dello spavento. Saggio e non invasivo è l’utilizzo della colonna sonora, presente e sempre pertinente alle immagini, regalando qualche assolo di egregio terrore.

The taking of deborah logan

The Taking of Deborah Logan affonda le radici del suo terrore su due nervi scoperti dell’essere umano, la malattia degenerativa e il misticismo anticristiano, è difficile sorprendere e impressionare, ma la crudeltà delle immagini e l’emotività, spesso tirata in gioco, fanno del film un piccolo gioiellino dal carattere dominante e dinamico. L’unica vera speranza è di vederlo presto in Italia.

Giudizio Horror House

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione - 3.7

3.5

Voto Finale