Il Vestito: recensione del cortometraggio di Maurizio Ravallese
L'opera, diretta da Maurizio Ravallese, descrive un incontro fortuito tra due personaggi che si trasforma in una missione per entrambi: uno scopo che svela un contenuto sociale intenso alla base del progetto
La casualità un elemento imprevisto e non calcolato della nostra vita: è una neutralità che sta esattamente al centro tra fortuna e sfortuna e, a seconda della situazione, del contesto, favorisce uno o l’altro opposto condizionando in maniera diretta lo scorrere degli eventi. Spesso l’accidentalità ci porta a scontarci con delle vicissitudini per nulla preventivate ma che riescono, grazie ad un disegno misterioso, a portarci dove volevano, seguendo strade per nulla dibattute dalla nostra pianificazione.
Il Vestito, cortometraggio diretto da Maurizio Ravallese e scritto dallo stesso autore con Emanuele Pisano, gioca molto, a livello cinematografico, con il significato e il potere della casualità, riuscendo a tirare in ballo, in maniera fluida e perfettamente integrata con il background presentato, delle tematiche drammaticamente attuali che danno ancora più valore all’opera. Distribuita da Pathos Distribution, la realizzazione ha vinto svariati premi sia internazionali che nazionali e siamo qui per parlarvene nel dettaglio.
Il Vestito: un crocevia inaspettato
La trama de Il Vestito è semplice ed efficace: al centro della storia vi è un incontro fortuito tra un immigrato, Amed (Danilo Arena), alla ricerca disperata di un abito da sposa e uno sposo abbandonato all’altare, Massimo (Christian Iansante). Il destino ha fatto incrociare le vite di queste persone apparentemente molto distanti fra loro ma che riescono, in qualche modo, a raggiungere ognuno il proprio scopo facendosi aiutare dall’altro: non aspettatevi però che la morale si esaurisca solamente con un messaggio di solidarietà e cooperazione.
Basta pensare alla scelta dei due protagonisti, due emarginati dalla nostra società che combattono ogni giorno per sé stessi, cercando in tutti i modi di farsi accettare dal prossimo che li ghettizza. Se nel caso di Amed è più palese la sua condizione sociale e psicologica, con Massimo, invece, l’autore si diverte a tratteggiarlo con enigmaticità e mistero, portando poi lo spettatore di fronte ad una realtà, nel finale, che colloca Il Vestito sotto una prospettiva ancora più interessante e significativa.
Ovviamente non vi sveleremo nulla su quanto accade all’interno del cortometraggio, ma è opportuno sottolineare quanto il plot twist negli ultimi minuti dà forza, in modo ancora più intenso, al valore sociale della realizzazione, che si esprime in particolare con una tematica attualissima e molto dibattuta, ovvero la salvaguardia della lotta contro ogni discriminazione di genere che il tanto acceso Ddl Zan sta cercando di portare alla luce dal punto di vista legislativo.
In soli 15 minuti, quindi, Il Vestito racchiude al suo interno un racconto profondo e ricco di sfaccettature che, proprio grazie alla particolare struttura del cortometraggio, riesce perfettamente a sensibilizzare il pubblico su elementi controversi della nostra modernità, senza però risultare inflazionato o retorico, ma anzi, inserendo tali punti di discussione in modo brillante, senza forzature di nessun tipo.
Un concentrato di poesia e riflessione
L’opera è un concentrato di poesia e riflessione che si avvale di una sceneggiatura molto intelligente, in quanto, durante la storia, semina indizi che poi raccoglie nella conclusione senza nessun elemento a vuoto. Mano a mano che la trama va avanti, infatti, lo spettatore comprende sempre di più il messaggio voluto dall’autore. La scrittura è efficace anche nella caratterizzazione dei due protagonisti che, nonostante i pochi minuti di girato, non solo risultano credibili e funzionano perfettamente in coppia dal punto di vista drammaturgico, ma hanno anche un arco evolutivo dignitoso.
Danilo Arena e Christian Iansante sono perfettamente in parte dando colore e intensità alla loro interpretazione: i due riescono a dare voce a delle figure cruciali non solo e soltanto perché sono il motore effettivo della storia, ma anche perché racchiudono gli elementi di critica sociale alla base dell’intero progetto. Il loro ruolo all’interno de Il Vestito è quindi di vitale importanza e la performance artistica della coppia è significativa a tal punto rendere dinamico lo scorrere degli eventi presentati.
La regia di Maurizio Ravallese è un po’ assoggettata dai virtuosismi narrativi e alcune volte finisce in secondo piano rispetto alla sceneggiatura: ciò di per sé non è dato solamente dalla qualità effettiva, che comunque è di livello, ma dall’impeto travolgente della scrittura che riesce a distogliere in parte il focus dalla macchina da presa veicolandolo sul contenuto più che sulla forma. In particolar modo vi è una sequenza nello specifico dove il copione predomina sulla regia che, anche se presente, diventa un mero accompagnamento: durante il viaggio di Amed per raggiungere la sua meta, la voce in sottofondo di Massimo rompe quasi del tutto lo schema registico, svelando un gioco narrativo raffinato.
Nel cortometraggio, il vero collante tra regia e sceneggiatura è dato dalla fotografia cupa e sporca a livello di cromatismi che rafforza ancora di più, dal punto di vista estetico, il disagio interiore dei protagonisti e l’allarme sociale di cui la realizzazione si fa portavoce. Le immagini assumono contorni quasi alienanti e disturbanti ed esprimono al meglio l’esigenza di un cambiamento che dia luce alle frequenti zone d’ombra delle sequenze girate.
Il Vestito è un cortometraggio intrigante che giostra bene le carte che ha a disposizione: in una finestra temporale limitata tipica del medium di riferimento, Maurizio Ravallese riesce a tirar fuori una riflessione per nulla banale su tematiche di ampio respiro, che in particolar modo sono al centro del dibattito politico recente. L’impianto narrativo di gran pregio che tratteggia dei protagonisti verosimili (merito anche degli attori coinvolti, Christian Iansante e Danilo Arena) e una trama potente nella sua essenzialità, sovrasta la regia, comunque curata, ma che passa in secondo piano all’interno dell’opera.