Il suo ultimo desiderio: recensione del film Netflix con Anne Hathaway

Una pellicola senza personalità che cerca di appoggiarsi su una storia fin troppo ambiziosa e complessa da sviluppare.

Il libro di Joan Didion del 1996, Il suo ultimo desiderio, adattato da Dee Rees, è un progetto così finemente strutturato che è difficile portarlo in scena con chiarezza di intenti.
Uscito su Netflix il 21 Febbraio, racconta la storia di Elena McMahon (Anne Hathaway), una giornalista d’assalto ostinata che rischia di essere ferita a morte in El Salvador. Lei e la sua collega Alma Guerrero (Rosie Perez) ritornano in patria, dedicandosi alla campagna di rielezione del presidente Ronald Reagan. Il film, ambientato nel 1984, non si concentrerà solo su questa dinamica: Elena viene colta alla sprovvista quando suo padre (Willem Dafoe), un commerciante di ruote, le chiede aiuto per ultimare un affare di lavoro a tratti losco e altamente secretato, che lo sistemerà per il resto della sua vita.

Il suo ultimo desiderio: il film con Ben Affleck e Anne Hathaway si dimostra inutilmente intricato

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Elena non ha idea di cosa sta per succedere e in che vortice distruttivo si è immersa; un traffico d’armi illecito che potrebbe metterla seriamente in pericolo. Il suo carattere però la costringe a proseguire con le ricerche, per soddisfare i voleri di un padre burbero e incline all’autodistruzione. La pellicola diretta da Dee Rees (Mudbound) cerca di proporci una mistura di generi generalmente apprezzabile: il thriller al cardiopalma, un film di inchiesta e un dramma fortemente umano con personaggi in bilico fra razionalità e sfrontatezza. Il suo ultimo desiderio si svolge durante uno dei momenti storici più oscuri della politica americana quando, sotto l’amministrazione Reagan, gli Stati Uniti trasferivano ingenti fondi a gruppi di guerriglieri nicaraguensi, i contras.

Anne Hathaway guida il cast di un film senza identità né sviluppo avvincente; si trascina a fatica verso i meandri di una storia che sembra non possieda degli atti ben definiti. Dee Rees, in sede di sceneggiatura con Marco Villalobos, si applica nella stesura di un soggetto complesso, ingarbugliato, che necessita di paragrafi e capitoli ottimamente articolati, dimostrando che solo il romanzo è la sede giusta per raccontare una vicenda così ricca di dettagli. La trasposizione forzata invece risulta la scelta meno efficace per rendere giustizia a quanto scritto da Didion. L’apparizione di Ben Affleck nel cast è inconsistente: si limita ad una prestazione scarna e con poco mordente, intento a recitare un copione che lo trattiene dal prendere il pieno controllo della storia proposta. I riflettori sono tutti puntati su Elena e sul suo viaggio alla ricerca di una verità molto scomoda da rivelare pubblicamente.

Il suo ultimo desiderio: regia poco convinta e sviluppo frammentato non aiutano a valorizzare le interpretazioni di punta

Anche la regia deve fare i conti con un flusso ininterrotto di informazioni che viaggiano a velocità sostenuta. Coloro che devono stare al passo con Elena si trovano fuori rotta; parliamo sia di comprimari che non forniscono frammenti di esposizione ben ricostruiti che degli stessi spettatori, ormai intrappolati in una rete di mezze bugie, sconcertanti verità e torbidi intrighi. Movimenti di macchina a mano, un forte senso di realismo e un approccio brutale con incessanti primi piani sui protagonisti vorrebbero infondere una certa dose di emotività al racconto, tentando di smuovere i caratteri dei personaggi coinvolti nel girato; peccato che la messinscena appare alquanto confusa.

Intervengono anticipazioni, flashback, vicende parallele all’inchiesta principale di riferimento, narrazione fuori campo e digressioni piazzate strategicamente per mettere in luce la dubbia moralità degli interpreti di punta del film. Nulla che aiuti alla piena comprensione della base di una trama sgangherata e praticamente non accessibile. Sceneggiatura e regia impiegata non navigano nelle stesse irrequiete acque: la rifinitura di un romanzo davvero encomiabile sul piano delle testimonianze e dei resoconti e la smisurata ambizione di riprendere dal vivo l’accaduto comportano una rottura che non può passare inosservata. Stiamo parlando della soglia della nostra soglia dell’attenzione, drasticamente calata fino a distogliere lo sguardo da quello che poteva – e doveva essere – una pellicola intensa e travolgente.

Regia - 1.5
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 1.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 1.5
Emozione - 1.5

1.7