Roma FF17 – Il principe di Roma: recensione del film con Marco Giallini

Con Il principe di Roma Edoardo Falcone parafrasa Canto di Natale di Charles Dickens confezionando una commedia che strizza l’occhio al Marchese del Grillo, ma anche a certi sceneggiati Rai anni ’70, in un crescendo di situazioni fantasiose e grottesche che poggiano soprattutto sull’affinata verve degli interpreti.

Presentato alla 17ma Festa del Cinema di Roma nella sezione Grand Public e al cinema a partire dal 17 novembre 2022 grazie a Lucky Red e Rai Cinema, la commedia veste di romanità lo scheletro di una sceneggiatura scritta dallo stesso Falcone insieme a Paolo Costella e Marco Martani, aprendo la strada a una rivisitazione interessante in cui trovano spazio dialoghi, musiche e vicoli della Città Eterna.
Marco Giallini si presta a vestire i panni del burbero riccone smanioso di avere un riconoscimento nobiliare. Il suo Bartolomeo Proietti, in questa Roma del 1829 in cui le apparenze contano fin troppo, si erge per furbizia e per mancanza di scrupoli: uno Scrooge dell’Urbe che maltratta la servitù, avidissimo di denaro, convinto che tutto ruoti attorno al possesso e che ogni cosa abbia un prezzo. Il suo signor Meo sembra essergli stato cucito addosso: l’attore ne riempie ogni millimetro di pelle sferrando una spavalderia ruggente e un sarcasmo tipico della sua personalità; sa essere eccentrico, scorbutico, ridicolo e riprovevole e per questo detestabile da chi lo circonda, ma adorabile per chi lo vede da dietro la patina del grande schermo.

Il principe di Roma: come Canto di Natale, ma a Roma… che è meglio!

il principe di roma recensione cinematographe.it

Giallini ha tutte le caratteristiche del protagonista dickensiano, ma lo spirito di Alberto Sordi e questo dà alla pellicola una marcia in più, tradendo il profilo più drammatico dell’opera da cui è tratto il film per farci approdare presso isole consumate dalla bellezza popolare, in frasi mangiucchiate di dialetto romanesco e in vie che esalano, pur nella paura della notte, tutta l’ironica meraviglia dell’illusione. La stessa che affligge il protagonista, il quale fin dal principio si illude di essere migliore semplicemente acquistando un titolo nobiliare (quello di principe, appunto) che sappia completare degnamente il suo status di ricco signore.

A differenza di Scrooge, al quale interessa solo la ricchezza, Meo pretende la riconoscibilità, espediente narrativo fondamentale a introdurre la questione amorosa – che passa dal matrimonio combinato con Domizia (Liliana Bottone) alla passione con la serva Teta (Giulia Bevilacqua) – e, di conseguenza, a innescare tutta una serie di eventi che saranno in fondo la spina dorsale dell’intera pellicola. Per sposare Domizia e diventare principe di Roma, il protagonista necessità di cento scudi, ma la condanna a morte del suo sottoposto gli vieta di comprendere dove si trovi il denaro, inducendolo a seguire il suggerimento del cocchiere Giacchino (Antonio Bannò): rivolgersi a una fattucchiera per tentare di parlare col defunto. Le avvisaglie sono chiare: Roma è piena di fantasmi ed evocando il suo amico presso la Chiesa di San Giovanni Decollato ci si può facilmente trovare faccia a faccia con personaggi storici (Nerone, Cagliostro, Beatrice Cenci e così via).

I fantasmi dell’Urbe

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Ma il signor Meo (o il signor principe!) non ha tempo per ascoltare e suo malgrado si ritrova invischiato in un viaggio fantasmagorico, guidato dai fantasmi del presente, del passato e del futuro. L’aspetto interessante, sotto questo punto di vista, consiste nell’idea di romanizzare ulteriormente l’opera, immettendo nella narrazione piccole nozioni storiche rivestite di umorismo. Così il passato lo si affronta grazie alla luminosa dolcezza di Beatrice Cenci (Denise Tantucci) la quale, da fanciulla a cui la vita ha destinato tante ricchezze ma poco amore, lo guida alla scoperta delle proprie origini, cercando di fargli comprendere che la felicità spesso non si trova nella materialità. Il sarcasmo di Giordano Bruno, a cui Filippo Timi regala un’impalcatura diabolica e sopra le righe, sa imporsi con arguzia come fantasma del presente, in una giostra di prese in giro in cui viene citato persino il Sommo Poeta e che punta a mostrare a Meo la vita sotto un’altra prospettiva. Ma non basta a farlo rinsavire, perché nonostante tutto il presunto futuro principe non riesce ad afferrare il senso di ciò che sta facendo e sarà solo grazie all’ironia di un fantasma del futuro peccaminoso come Papa Borgia (Giuseppe Battiston) se comprenderà finalmente la strada che sta per intraprendere: nel suo domani solo morte, tradimenti e solitudine.

Non ci vuole molto a comprendere che l’insegnamento de Il principe di Roma risiede nell’idea che tutto passa e si consuma, ma l’umanità resta. Intrecciando la ricerca di una nobiltà apparente con la ritrovata nobiltà reale, il film sottolinea l’importanza di fare del bene e di coltivare affetti, di dare spazio a sentimenti che nessuna somma di denaro potrebbe comprare. Edoardo Falcone riesce a dare all’intero lungometraggio un ritmo scorrevole e leggero, sa far esplodere l’ilarità attraverso i dialoghi e le parole, sfruttando pienamente le capacità di un cast che mostra di non risparmiarsi, cedendo agli impulsi di una storia universale che però, in questa occasione, si fa romana e quindi sfacciata, attraente, colorita.

La Città Eterna sa esalare tutta la sua magica bellezza

La consistenza de Il principe di Roma pesa tanto quanto i nutriti pasti del protagonista (fagioli e cotiche, abbacchio, ciambellette col vino) e come tali risulta saporita, autentica, popolare. Per l’intera durata del film ci si sente dentro quella Roma così antica e contemporanea insieme, si respira il profumo della genuinità, guidati dalle interpretazioni di attori che non si risparmiano mai e forse, tra le figure femminili, la Teta di Giulia Bevilacqua è quella più esplosiva, anche se una doverosa menzione la meritano anche Andrea Sartoretti (Eugenio, l’amico rivoluzionario di Meo) e Massimo De Lorenzo (che interpreta Duilo, il fidato contabile).

Presenze preziosissime del film sono però anche le location, che aprono il sipario verso un’Urbe romantica, sfarzosa, umile, fantastica, ricca di vicoli da esplorare e segreti da tenere sotto chiave. Una Roma che non sarebbe certo così mirabolante senza il sottofondo di una melodia che si fa presenza, incatenandoci in un tempo passato e dandoci l’impressione che quei fantasmi, quando e se ci ritroveremo a camminare per le vie di Roma, li troveremo tutti lì, magari a guidarci tra passato, presente e futuro.

Per il momento, il viaggio si consuma al cinema, in un riadattamento rocambolesco, verace e spensierato che conquisterà il pubblico, ne siamo certi!