RomaFF14 – Il peccato: recensione del film di Andrei Konchalovsky

Recensione di Il peccato (2019) di Andrey Konchalovsky, biopic su Michelangelo Buonarroti che a fronte di una messa in scena notevole e una regia di classe, cade sotto i colpi di un elemento dialogico non all'altezza

Una produzione sontuosa tra Italia e Russia, un personaggio come Michelangelo Buonarroti e un regista navigato come Andrei Konchalovksy; ingredienti di prim’ordine per la chiusura della Festa del Cinema di Roma che con Il peccato (2019) con protagonisti – tra gli altri – Alberto Testone e Jakob Diehl, porta in scena la vita del leggendario scultore italiano, delineando un biopic su un personaggio controverso, in un momento delicato della sua vita.

Distribuito da 01Distribution e Sony Pictures e prodotto dagli Andrei Konchalovsky Studios, Jean Vigo Italia e Rai Cinema, Il peccato delinea il ritratto del leggendario Michelangelo Buonarroti e dell’Italia del 1512 a cavallo tra il Papato dei Della Rovere e dei Medici. Appena conclusasi la Cappella Sistina, Michelangelo (Alberto Testone) – in piena crisi creativa e spirituale – si trova coinvolto in un intrigo di potere tra le pressioni delle famiglie più ricche d’Italia.

Il peccato: una messa in scena grandiosa affondata da interpretazioni flebili

Il peccato cinematographe.it

Un prodotto filmico come Il peccato è di suo un progetto controverso e al contempo avvincente specie se c’è la firma di un regista come Konchalovsky. Non è un caso che di primo impatto ciò che colpisce della pellicola sia la sua messa in scena grandiosa. Konchalovksy infatti dà il meglio di sé tra panoramiche e campi totali, per una regia di classe, che ci permette di respirare ogni momento del contesto narrativo della Firenze rinascimentale in una narrazione fortemente immersiva, espediente con cui possiamo assaporare i silenzi di una Firenze color seppia di una regia a camera fissa.

Il peccato procede infatti nel delineare una struttura narrativa che, seppur a fronte di una scenografia incredibile dal minimo dettaglio curato – valorizzata da una fotografia dall’uso intelligente delle luci naturali – è caratterizzata da un unico arco narrativo, quello del Michelangelo di Testone. Ci vengono infatti mostrati i turbamenti divini e il conflitto interno di un uomo dal genio all’altezza delle sue aspirazioni – spesso fuori scala – incapace per questo di poter esprimere liberamente la sua creatività, perché vittima dei suoi deliri di grandezza e del conflitto tra i Della Rovere e i Medici.

Il Peccato di Andrei Konchalovsky alla Festa del Cinema di Roma

Il famigerato blocco di marmo che rappresenta – in tal senso – la pietra narrativa alla base del racconto, diventa il simulacro metaforico del sopracitato delirio di grandezza, di progetti maestosi al limite delle sue possibilità. Michelangelo è infatti tormentato dal manie di ogni genere, convinto d’essere vittima del demonio per il suo lavoro nella Cappella Sistina, e in cerca della consacrazione dei posteri “alla Dante Aligheri“. Michelangelo infatti non riesce ad accettare come il suo lavoro non induca la gente a pregare piuttosto che dedicarsi a pensieri impuri e peccaminosi. Il blocco resta, così, immobile, incapace a spostarsi perché – proprio come Michelangelo – vittima degli eventi.

Tutte buone intenzioni narrative che vengono elegantemente espresse in una regia all’altezza, ma che vengono lasciate trasparire appena – purtroppo – da una recitazione forzata e teatrale. Il vero limite de Il peccato è proprio l’impossibilità di avere interpreti all’altezza di una regia di tutto rispetto e di un regista come Konchalovksy. La cura che si ha nei dettagli scenici e nella scenografia, è diametralmente opposta a quella dialogica – generando così scambi stanchi, da un linguaggio fin troppo moderno per essere conforme all’Italia del 1512 – volto a relegare così, Il peccato, in una dimensione non all’altezza delle sue aspirazioni, esattamente come il suo personaggio principe.

Il peccato: un’occasione sprecata

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Forse un giudizio troppo lapidario, ma Il peccato aveva le carte in regola per essere un biopic in grado di introdurre forti elementi innovativi in tal genere cinematografico, e pur possedendo molte carte vincenti – non ultima la presenza al timone di un regista come Konchalovsky – cade sotto i colpi di scelte di casting non all’altezza, e di dialoghi incapaci di sostenere la portata scenica di un prodotto simile.

Resta il rimpianto di un’occasione sprecata, non tanto guardandosi indietro per quello che è, ma immaginando cosa sarebbe potuto essere Il peccato con uno sforzo e un’attenzione ai dettagli in più.

Regia - 4
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 1
Sonoro - 2
Emozione - 2

2.5