Il Padre dell’Anno: recensione del film con Michael Keaton
Con Michael Keaton e Mila Kunis, Il Padre dell'Anno è un mix di dramma e commedia a proposito di un padre che deve ricostruire la sua vita e diventare, sul serio, un padre.
Croce e delizia del pensiero critico – più la prima della seconda – la dramedy è un genere che si fa sempre un po’ di fatica a raccontare. Il termine, foneticamente orrendo ma accurato, si riferisce a un cinema ibrido, a prevalenza americana ma non esclusivamente americano, costruito sull’equilibrio di lacrime e risate. È sul dosaggio degli ingredienti che si misurano pregi e difetti de Il Padre dell’Anno, il film scritto e diretto da Hallie Meyers-Shyer – doppia figlia d’arte, di Charles Shyer e Nancy Meyers, entrambi registi – in arrivo nelle sale italiane il 25 settembre 2025 per Adler Entertainment. Se non si fanno bene i calcoli, si rischia una leggerezza che sconfina nell’inconsistenza (prevale la commedia) o una serietà ruffiana e ricattatoria (prevale il dramma). La buona notizia è che il film ha la maturità necessaria e riesce a stare in equilibrio tra i suoi preziosi opposti; la cattiva, è che non sa disfarsi dei difetti strutturali del genere. Con Michael Keaton, Mila Kunis e Andie MacDowell, in scena ci sono soprattutto i primi due. Padre e figlia, così li vuole la storia. Vicini e lontani allo stesso tempo
Il Padre dell’Anno: un padre assente deve ricostruire la sua vita

Hallie Meyers-Shyer non ha tempo da perdere. Il Padre dell’Anno comincia in mezzo alla crisi che ridefinisce la vita del suo protagonista. Si chiama Andy, Andy Goodrich (Michael Keaton), gallerista di successo fino a non molto tempo fa, ora le cose vanno meno bene. Andy è il tipico maschio eterosessuale bianco affermato che usa la dipendenza dal lavoro come dispositivo di perfetta autoassoluzione, perché non ha mai coltivato l’abitudine di interessarsi agli altri. Il Padre dell’Anno è la storia di Andy che comincia ad accorgersi di cose che fino a un attimo prima non avrebbe notato. La sua famiglia, per esempio. Anzi, le sue famiglie.
Sono due. Hallie Meyers-Shyer sa che la partita del film si vince solo se si riesce a stabilire, con una certa rapidità, un decoroso equilibrio di dramma e commedia. Ce la fa, ed è un involontario limite della storia che nulla funzioni meglio del prologo. Andy torna a casa dopo un’estenuante giornata di lavoro. Squilla il telefono, è sua moglie Naomi (Laura Benanti) e ha due cose da dirgli, entrambe sorprendenti e non proprio esaltanti. Primo: è in rehab, per dipendenza da farmaci. Andy non si era accorto che sua moglie, tra l’altro più giovane di lui, avesse bisogno d’aiuto, e nemmeno che si imbottisse di pasticche! Secondo: una volta fuori dalla clinica, Naomi non tornerà a casa. Andy pensava di avere un matrimonio felice; il tempo di una telefonata, e deve rifare tutto da capo. Gli sono rimasti i figli. Loro non poteva non notarli, ma questo è tutto.
La situazione è drammatica ma il tono è leggero e amaramente divertito mentre Il Padre dell’Anno accompagna Andy nel suo percorso di ricostruzione spirituale. I figli sono tre. Due bambini, Billie (Vivien Lyra Blair) e Mose (Jacob Kopera), avuti da Naomi. Una figlia grande, in procinto di partorire, Grace (Mila Kunis), avuta dalla prima moglie Ann (Andie MacDowell). Nel frattempo, la galleria boccheggia economicamente e per salvarla Andy deve convincere Lola (Carmen Ejogo), figlia di un’artista recentemente scomparsa, a lasciargli l’eredità artistica della madre. Michael Keaton regala al protagonista l’aria distratta e sorniona di un’adorabile canaglia con il cuore al posto giusto ma incapace di fare la cosa giusta. Andy ovviamente riuscirà a diventare il padre che i suoi figli meritano, con tutte le difficoltà del caso, perché ogni successo con i piccoli alimenta la sacrosanta gelosia di Grace, che gli chiede conto di un’infanzia solitaria. Andy è sempre stato abituato a gestire la bellezza asetticamente, nell’elegante cornice del suo lavoro. Ora deve trovarla nella vita di tutti i giorni.
Dramma o commedia: da che parte si guardi, la chiave è la chimica e il talento dei due protagonisti

Lo scivolamento di prospettiva di Andy, il passaggio da una vita all’altra – rarefatta e indifferente, la prima, di piaceri più immediati e reali, la seconda – è tutto quello che c’è da sapere sul senso e il focus tematico de Il Padre dell’Anno. Non c’è nulla di implausibile nelle dinamiche emotive, nelle soddisfazioni, nei rimpianti, nelle inversioni a u comportamentali dei personaggi, e allo stesso tempo tutto è scrupolosamente modellato per servire un’impressione di studiata e dolceamara leggerezza. Il sentimento è onesto, l’impalcatura narrativa è artificiosa e dal conflitto studiato a tavolino Hallie Meyers-Shyer costruisce una dramedy più matura e sofferta dallo standard, anche divertente.
Forzata – non potrebbe essere altrimenti, lo pretende il genere – è la facilità con cui i personaggi accettano il cambiamento. Non c’è dubbio che Andy ce la farà a diventare un vero padre (e nonno, è la più recente novità), per quanto con una vita di ritardo. Non c’è dubbio che il traguardo del lieto fine gli imporrà di lasciare (più di) qualcosa per strada: il matrimonio, il lavoro, il rimpianto di non esserci stato per Grace quando serviva. Michael Keaton spinge il pedale sull’acceleratore dell’irresponsabilità di Andy ma non si scorda del suo cuore ferito, e sa raccontare con onestà il bisogno dell’uomo di diventare la versione migliore di se stesso un attimo prima che sia troppo tardi.
Poi c’è Mila Kunis – non va scordato Michael Urie nelle parti del papà di un compagno di classe dei piccoli Mose e Billie, sollievo comico e una parentesi seria a fare da contraltare ai rapporti tra i personaggi principali – e forse il film non le dà lo spazio che merita. Lei riesce lo stesso a infondere verità nel mix di rimpianti e spirito costruttivo di una figlia che si appresta a diventare madre e che, senza sacrificare la sua indipendenza, vuole far entrare nella sua vita quel padre inseguito per così tanto tempo. Il Padre dell’Anno non sa e non vuole dire, sull’argomento – famiglia, voglia di cambiare, amore inespresso – più di quanto sia già stato detto e scritto, ma l’interesse del film è un altro, avvolgere la storia di una drammatica leggerezza puntando sulla chimica, lo charme e il talento dei suoi protagonisti. Micheal Keaton e Mila Kunis lavorano sulla drammatica serietà dell’argomento tirandone fuori l’insperata leggerezza, la malinconica ironia. Con tutti i pregi e difetti della dramedy, Il Padre dell’Anno ha integrità di fondo e un’insperata maturità. La bestia critica è a riposo, stavolta. Più o meno.
Il Padre dell’Anno: valutazione e conclusione
In qualità di ibrido di dramma e commedia, Il Padre dell’Anno non cerca davvero di mixare gli ingredienti, come si è alluso in maniera imprecisa anche nel corso di questa recensione; piuttosto forza, con quanta più delicatezza è possibile, una sfumatura di leggerezza su un fondo drammatico. Il trattamento del materiale fa tutta la differenza e Il Padre dell’Anno è una dramedy diligente. Hallie Meyers-Shyer ci mette dentro quello che serve – caratterizzazioni oneste vs. dinamiche narrative sopra le righe, forse anche un pizzico di maturità in più dello standard – senza sfuggire al limite strutturale del genere, la tendenza a sciogliere i nodi della storia (con superficialità e un pizzico di sentimentalismo) in un lieto fine più rassicurante e frettoloso del necessario. Ma come intrattenimento a metà strada tra i generi, Il Padre dell’Anno è un’intelligente, anche se imperfetta, proposta.