Il mio nome è vendetta: recensione del film Netflix con Alessandro Gassman

Una bella moglie, una figlia, un lavoro e una casa: Santo pensa di avere tutto, ma il passato non gli lascia scampo...

Il mio nome è vendetta, disponibile su Netflix dall’1 dicembre, è un film con Alessandro Gassman nei panni di Santo, un uomo che ha una moglie e una figlia, vive nel Trentino in una baita tra le montagne e lavora in segheria. Ma un giorno il passato irrompe prepotente nella sua vita, e lo travolge. Perché Santo è in realtà Domenico Franzè, nato e cresciuto in Calabria in una famiglia ‘ndranghetista: una di quelle famiglie con legami di sangue che sono impossibili da spezzare, e che dopo averlo trovato uccide sua moglie e suo cognato.

Domenico fa in tempo a salvare la figlia Sofia, ed ora la sua unica via di fuga è andare incontro ai suoi carnefici e vendicarsi.
Il revenge movie è un genere che negli anni si è ritagliato uno spazio sempre più ampio: viene da lontano, e le sue origini possono farsi risalire al 1960 e a La Fontana Della Vergine di Ingmar Bergman, tratto da una leggenda svedese del XIV secolo (Tore’s dotter i wange) e che racconta di una Svezia medievale nella quale la giovane Karin, figlia del proprietario terriero Tore, viene violentata e uccisa da alcuni briganti mentre si reca -come da tradizione nel giorno della Madonna- ad accendere dei ceri ad una fontana. La vendetta del padre sarà brutale.

Anche se non tutti lo sanno, il film del genio svedese è stato rifatto successivamente da Wes Craven con L’Ultima Casa a Sinistra (1972): da lì, una lista interminabile di film hanno ricalcato lo schema originario -una violenza iniziale che porta ad una vendetta implacabile. L’Angelo Della Vendetta di Abel Ferrara, Non violentate Jennifer di Meir Zarchi, Irreversible di Gaspar Noe, la trilogia della vendetta di Park Chan-Wook (Mr. Vendetta, Old Boy e Lady Vendetta) fino ai due capitoli del Kill Bill di Quentin Tarantino.

Cosimo Gomes e il revenge movie Il mio nome è vendetta

Cosimo Gomez riprende i più classici topoi del genere e porta avanti il suo discorso personale che ha intrapreso sul nero italiano: appunto nero, però, non noir, perché il cinema che piace a Gomez non è la raffinata rappresentazione francese di ombre esistenziali tinte di thriller, bensì quel genere tutto tricolore che parte dal fumetto di Diabolik negli anni Sessanta e si allarga al poliziottesco, con storie ruvide condite da violenza e sangue.

Brutti e Cattivi aveva già mostrato la strada: una commedia cattiva che slargava i confini del politicamente scorretto mettendo in scena un piano criminale, tra ironia e cinismo.

Il Mio Nome È Vendetta invece elimina ogni spunto leggero (probabilmente, fa il paio con Io e Spotty sempre di Gomez, che aveva assorbito tutta la positività della storia precedente) e si getta a capofitto in un racconto nerissimo, che parte dal Giustiziere della Notte di Michael Winner e tocca anche Nikita di Luc Besson. Il film non fa nessun tipo di sconto alla narrazione: fin dal duplice omicidio finale il sangue non si spreca, inondando la scena insieme all’ostentazione della violenza che è quasi necessaria in un revenge. Dal canto suo, Alessandro Gassman prende le misure dei personaggi di un Liam Neeson qualunque e fa suo il ruolo del protagonista: e forse la sua faccia, la sua presenza e il suo carisma sono le caratteristiche (vincenti) che rendono coerenti gli eccessi di un film che si prende troppo sul serio.

Un Alessandro Gassman perfetto in Il mio nome è vendetta

Gassman dà il giusto tono e ritmo ad un film che cerca di unire un’impostazione visuale moderna ad una storia già vista: sono infatti lui e Remo Girone, il villain, i due poli attorno a cui si svolge la storia. In mezzo, cedimenti di realismo ed un’impostazione visiva non sempre centrata mentre cerca l’equilibrio tra classico e moderno: Il Mio Nome È Vendetta soffre però di una frammentazione drammaturgica, con linee di trama parallele che si sfilacciano e cornici fin troppo didascaliche.

In un quadro più generale, potrebbe essere questa la strada da seguire per un cinema italiano action credibile anche a livello internazionale: la violenza esibita non è mai gratuita, il montaggio è veloce (anche se a volte troppo frenetico) e gli attori hanno il volto giusto.
Qualche sforbiciata in più avrebbe però fatto bene a Il mio nome è vendetta, un film che mette tanta buona volontà, ma non sa essere sempre a fuoco.

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Regia - 2
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 2
Emozione - 3

2.7