Il mio amico Robot: recensione del film d’animazione

Amicizia, solitudine e fragilità sono al centro del tenero e malinconico film d'animazione (candidato all'Oscar) diretto da Pablo Berger. Il mio amico Robot arriva al cinema dal 4 aprile 2024.

Il 4 aprile 2024 arriva nelle sale italiane, per una distribuzione I Wonder Pictures, Il mio amico Robot. Il film d’animazione è l’esordio (nel genere) del regista e sceneggiatore spagnolo Pablo Berger, conosciuto a livello internazionale per Blancanieves (2012), rilettura goticheggiante della favola dei Fratelli Grimm. Fin qui le cose sono andate parecchio bene al film, dal primo fortunato passaggio a Cannes 2023 al premio al Festival dell’animazione ad Annecy, per finire con la lusinghiera (e meritata) nomination all’Oscar 2024 per il miglior film d’animazione.

Non aveva molte speranze di vittoria, Il mio amico Robot, contro il gigante Miyazaki e infatti non ha vinto, ma non è il caso di farne un dramma. Il premio serve all’autore per il prestigio, per la credibilità, perché in fase di negoziazione avere qualcosa di concreto da portare al tavolo delle trattative è di grande utilità. Ma si può dire lo stesso, con un’efficacia un pelino minore, di una nomination. Che non si tratti di un film d’animazione qualunque, la candidatura è lì a provarlo. Neanche un soggetto originale; adattamento del fumetto omonimo dell’americana Sara Varon. I protagonisti sono due improbabili amici. Il film indaga la loro amicizia, quando sono vicini e quando la vita li separa.

Il mio amico Robot: sogni e distanze di due amici davvero speciali

Il mio amico robot Oscar - cinematographe.it

La New York riscritta e ripensata per Il mio amico Robot è un melting pot di animali antropomorfi (cioè con fattezze e comportamenti umani) e creature meccaniche. Anni ’80, più o meno, e il mood è dolceamaro. Si ride e ci si emoziona, perché no, ci si commuove, che la materia è di quelle che non possono lasciare indifferenti. Si può parlare del film cominciando dalla colonna sonora. Da una canzone, in particolare. Un pezzo famoso, un classico disco dei tardi anni ’70, era il 1978 per la precisione, degli Earth, Wind & Fire. Si chiama September ed è incredibilmente importante nella storia perché è la canzone di Dog e Robot.

Si chiamano proprio così, Dog e Robot. Dog vive da solo a New York e la sua è la tipica inerzia esistenziale newyorchese, il cinema e la letteratura d’altronde ce l’hanno raccontata così tante volte: pasti cotti al microonde, una casa troppo silenziosa, uno sguardo distratto alla tv che deve rimanere sempre accesa perché altrimenti lo schermo riflette l’immagine dello spettatore. E Dog non vuole guardarsi allo specchio, perché non gli piace per niente quello che vede. Il punto di rottura è la pubblicità di una linea di robot di compagnia; per Dog è la promessa della fine della solitudine. Robot arriva così nella sua vita, improvviso e inaspettato. Amicizia, anzi, amore a prima vista.

Dog e Robot sono amici e forse qualcosa in più. Pablo Berger non ha interesse a chiarire le cose; una sottigliezza studiata, un’ambiguità che alza la posta in gioco della storia. Dove non arrivano le parole arriva September; è doppiamente necessaria, la canzone, perché Il mio amico Robot è un film che fa a meno delle parole convenzionali, costruito com’è sull’artificio e la poesia dell’immagine. Un giorno, a Coney Island, Robot è troppo arruginito per muoversi e Dog è costretto a lasciarlo lì, con la promessa di tornare a prenderlo non appena sarà di nuovo estate. Dog e Robot sono insieme nella prima metà del film, separati nella seconda. Si tratta di capire quanti danni possano fare, l’inverno e la distanza, alla loro amicizia. Robot, nella sua solitudine e immobilità, non può fare altro che dormire e sognare. I sogni del robot (da qui il titolo originale, Robot Dreams) riflettono ansie, paure, auspici di riconciliazione e timori di una separazione definitiva. Immaginifici e toccanti, i sogni rielaborano influenze e suggestioni di tanto buon cinema del passato e svelano il cuore sentimentale della storia.

Amicizia, fragilità e abbandono. E una lettera d’amore a New York

Il mio amico Robot cinematographe.it recensione

Forse la chiave del film sta proprio nella pulizia, nella nitida limpidezza dell’animazione che, Pablo Berger ci ricorda, deve molto alla scuola franco-belga di Hervé, il creatore di Tintin. Uno stile che lo spettatore italiano riconoscerà, trovandolo molto familiare, perché in tempi più recenti è stato la cifra stilistica della pluripremiata serie Netflix BoJack Horseman. Ne serve, di purezza e lucidità, a Il mio amico Robot. Il film scoppia di idee e vitalità e il regista spagnolo vuole assicurarsi che il suo debutto nell’animazione non lasci nulla di intentato.

Il mio amico Robot è una lettera d’amore a New York, alla languida bellezza di una giornata a Central Park e alla confusione di un’estate a Coney Island. Non manca proprio nulla qui, la frenesia, la disorganizzazione, l’invincibile solitudine dell’anima tipica della città alverare e insieme la possibilità, in ogni momento, a qualunque condizione, di trovare qualcosa (o qualcuno) di nuovo. Pablo Berger si muove come un veterano anche se, per il tipo di cinema, è la sua prima volta; lavorare su un materiale preesistente – il fumetto di Sara Varon – gli dà una grossa mano perché costringe l’animazione a fissarsi su un set di idee e sfondi prestabilito, ma c’è comunque tanta voglia di sperimentare.

Perché di questo si tratta. Il mio amico Robot è una malinconica (ma non ripiegata su se stessa) riflessione su amicizia, fragilità e abbandono. Pablo Berger sceglie la via della maturità, non insegue la chimera del lieto fine a tutti i costi. Non cerca facili scappatoie, non nega il dolore né attutisce il trauma della separazione ma dimostra che, se è vero che il tempo rende impossibile che le cose tornino esattamente com’erano prima, non tutto è compromesso; specialmente l’amicizia. Colpisce, del film, la capacità di trasmettere i suoi significati… senza aprire bocca. Ogni idea è filtrata e veicolata da un puntiglioso lavoro sull’immagine: si allude, non si comunica direttamente e questa è una postura tipicamente cinematografica. Il richiamo è alla creatività selvaggia, all’interpretazione in chiave drammatica dei grandi e piccoli gesti della vita quotidiana, reinventati in chiave fantastica e immaginifica, tipica del cinema di ieri – ancora Berger ci ricorda i padri nobili del film, da Keaton a Chaplin – immerso però in un’atmosfera e contaminato da una mappa dei temi di rilevante attualità.

Il mio amico Robot: valutazione e conclusione

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Il mio amico Robot è un film d’animazione forse meno trasversale, generazionalmente parlando, di quanto le premesse e il look suggeriscano. L’emozione della storia parla a tutti, grandi e piccoli, ma non allo stesso modo; c’è bisogno di aver vissuto un po’, di aver sofferto un po’, per abbracciarne il mood e capire fino in fondo la maturità delle riflessioni su abbandono e amicizia. La sfida di parlare al pubblico bypassando la comunicazione verbale – lavorando sull’immagine e sul potenziale di significati e suggestioni che l’immagine veicola – nel complesso paga, tenendo conto della durata del film, un’ora e quaranta circa. Il primo passo di Pablo Berger nel mondo dell’animazione è un sì convinto.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 4
Recitazione - 3.5
Sonoro - 4
Emozione - 4

3.8