Il Divo: recensione del film di Paolo Sorrentino

Nel film di Paolo Sorrentino Il Divo Giulio è un politico seduto, così come lo ha definito il regista, e infatti Andreotti rappresenta una politica rigida, piena di ombre, rinchiusa in un'immobilità spaventosa.

La Sfinge, il Gobbo, La Volpe, il Papa Nero, Belzebù e il Divo Giulio: è lui, Giulio Andreotti, il protagonista del film Il Divo (2008) di Paolo Sorrentino che indaga con il suo solito stile uno dei personaggi più interessanti, inquietanti e misteriosi della storia e della politica italiana. Il Divo si incentra e si incarna in lui e il film va dal suo settimo governo (1991 – 1993), ai processi di Palermo e di Perugia, con il rinvio a giudizio per il reato di associazione mafiosa e l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli. In mezzo ci sono le morti di Calvi, Lima, Sindona, Ambrosoli, Falcone e del generale Dalla Chiesa, grava, ancora, su di lui come un’onta (da parte degli altri) e come un incubo, la morte di Aldo Moro, e pesa anche la sua mancata elezione, fino ad arrivare a Tangentopoli ed al definitivo tramonto della Democrazia Cristiana. Il Divo non vuole raccontare solo e unicamente le giornate dell’ex Presidente, si vuole concentrare sull’immagine mitologica, grottesca dell’uomo Giulio, sulla sua faccia di gomma, sui suoi piccoli passi “gobbi” che mostrano l’abilità del politico di strisciare tra le strade di una Roma ignara e bellissima.

Il Divo - Cinematographe.itIl Divo: un film che mette al centro la maschera di un uomo

“Mi hanno onorato di numerosi soprannomi: il Divo Giulio, la Prima – lettera – dell’alfabeto, il Gobbo, la Volpe, il Moloch, la Salamandra, il Papa Nero, l’Eternità, l’Uomo – delle – tenebre, Belzebù.

Le mani nodose che parlano, gli aghi dell’agopuntura conficcati per alleviare i dolori lancinanti, il fisico accartocciato che dimostra il suo essere un complesso enigma da sciogliere ma non la sua statura politico – Andreotti non retrocede mai e non si piega. Non è un’imitazione e neppure una caricatura quella che realizza Sorrentino grazie al corpo attoriale di Tony Servillo, è qualcosa di diverso, che va oltre; il risultato infatti è un’immagine misteriosa e “attraente” (nel film Andreotti dice: “La contraddizione mostruosa che fa di me un uomo cinico e indecifrabile”). Mentre la Città dorme, Lui è sveglio – elemento che lo accomuna a Silvio Berlusconi -, incontra gli alleati che lo venerano come una divinità neanche troppo pagana, risponde alle domande, anche le più perniciose, con il cinismo e l’ironia tagliente che lo hanno contraddistinto – l’intervista di Scalfari mette in luce l’intelligenza dell’uomo politico -, ordisce trame nascostamente, passando indisturbato grazie a quell’aura di para santità che lo avvolge. Sorrentino si concentra sulle invalidanti emicranie – patologia propria di molti suoi personaggi come il Geremia de’ Geremei di L’amico di famiglia -, sull’amore verso la moglie Livia (“sono i tuoi occhi pieni che mi hanno folgorato un pomeriggio. […] Gli occhi tuoi pieni e puliti e incantati non sapevano, non sanno…”), sulle mani giunte colte in preghiera, sui momenti di solitudine.

Nessuno sa quanto si debba amare Dio per capire che bisogna perpetrare il Male al fine di salvaguardare il Bene.

Andreotti è impenetrabile e indecifrabile: non conosce tentennamenti nel sacrificare compagni o quelli con cui ha creato alleanze ma si scioglie nella commozione mentre ascolta una canzone di Renato Zero stringendo forte la mano di Livia.

Il Divo - Cinematographe.itIl Divo: Paolo Sorrentino, narratore di un uomo davanti a cui tremava tutta Roma

Ma non ho mai sporto querela [..] possiedo il senso dell’umorismo. Un’altra cosa che possiedo: un grande archivio.

Il Divo Giulio è un politico seduto, così lo ha definito Sorrentino, e infatti Andreotti rappresenta una politica rigida, piena di ombre, rinchiusa in un’immobilità spaventosa per cui “meglio tirare a campare che tirare le cuoia”.

Lui è il suo Potere, ama il volto terrorizzato di tutti coloro che gli si parano davanti, vive della sua supremazia e dell’agenda politica che scandisce la sua giornata. Riesce a vincere anche quando perde e questo perché è una statua su cui nulla attecchisce, scontri elettorali, attentati terroristici, accuse infamanti; sembra sempre uguale a se stesso. Sorrentino ama i personaggi complessi, quelli che sbagliano, quelli che sono illuminati da una luce sinistra (L’amico di famiglia, L’uomo in più, Le conseguenze dell’amore) e proprio per questo sono affascinanti. Sono macchine complesse, che compiono gli atti più spaventosi, più inaccettabili senza rimorsi, eppure si vede un briciolo di umanità, anche o forse proprio in quegli istanti.

Così attorno al Senatore gli altri muoiono, i governi crollano ma lui è come una colta araba fenice che scherza cinicamente su ciò che è insopportabile, che in punta di fioretto colpisce chi non dovrebbe essere colpito. Per citare un film, Davanti a lui tremava tutta Roma e forse è riduttivo; mentre l’Italia piange per la morte di Aldo Moro Andreotti parla del fioretto che ha fatto per “garantire” la liberazione del compagno di partito: “mi ripromisi se si fosse salvato di non mangiare più gelati. Io sono molto goloso di gelati”; in queste parole c’è tutta la costruzione pop in cui Sorrentino incasella i suoi personaggi.

Il Divo - Cinematographe.itIl Divo: Paolo Sorrentino scrive un racconto di solitudine e colpevolezza che ricorda anche il Berlusconi di Loro 1 e Loro 2

In quest’uomo sfacciato e potente, riecheggia un po’ di un altro politico che ha affascinato l’autore napoletano, Silvio Berlusconi. Fatte le dovute differenze – Andreotti è ancora il Divo, mentre B. è protagonista di Loro 1 e Loro 2 -, soprattutto caratteriali – il primo è silenzioso, ombroso, figlio di un’altra politica, il secondo circense, istrionico, un venditore di sogni -, c’è un filo rosso tra questo divo e il caimano. In entrambi emerge la struggente malinconia e la solitudine dolorosa di chi sta per cadere o è già caduto che Sorrentino ama cogliere nei suoi fantocci. La solitudine non è però quella degli outsider, dei disgraziati ma di chi è o ha rappresentato un gruppo, un partito, una Nazione in tutto il mondo, la solitudine di chi ha degli enormi scheletri nell’armadio ma nonostante questo finge di non averli. Sta qui, in questa sottile linea di demarcazione lungo la quale vivono tra colpevolezza e persecuzione, un altro punto in comune tra i Giulio e Silvio: sui due uomini grava l’ombra della mafia che prima è sodale ma poi diventa nemica, pesano colpe diverse ma non per questo meno gravi. Andreotti nel film di Sorrentino ammette di aver compiuto tutto ciò di cui è imputato ma lo fa con quell’atteggiamento messianico che ha in ogni sequenza della pellicola:

Confesso: è stata anche per mia colpa, per mia colpa, per mia grandissima colpa. Questo dico anche se non serve.  Roberto, Michele, Giorgio, Carlo Alberto, Giovanni, Mino, il caro Aldo, per vocazione o per necessità ma tutti irriducibili amanti della verità. Tutte bombe pronte ad esplodere che sono state disinnescate col silenzio finale. Tutti a pensare che la verità sia una cosa giusta, e invece è la fine del mondo, e noi non possiamo consentire la fine del mondo in nome di una cosa giusta. Abbiamo un mandato, noi. Un mandato divino. Bisogna amare così tanto Dio per capire quanto sia necessario il male per avere il bene. Questo Dio lo sa e lo so anch’io.

In queste parole di Andreotti c’è tutto Il Divo e anche molto del cinema di Sorrentino che riesce con i suoi personaggi, soli – non a caso la maggior parte delle pellicole parla di un singolo individuo, a raccontare – in un mondo da cui si distaccano o da cui vengono allontanati – pagine dell’Italia di oggi, della sua storia e dei suoi uomini. Ancora una volta il regista riesce a colpire, con il suo stile inconfondibile fatto di rigore e colpi di genio, lo spettatore che viene trascinato in un gorgo di nomi (Pomicino, Gelli, Evangelisti) e avvenimenti, in un Parlamento che urla, insulta. La coppia Sorrentino-Servillo fa centro con una sorta di biopic pop che sferza la storia, i politici di ieri e di oggi, i giornalisti riportando alla memoria che, purtroppo, a volte, una Nazione vive di corsi e ricorsi.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.9