Bifest 2019 – Il corpo della sposa: recensione del film di Michela Occhipinti
Dalla Berlinale al Bari International Film Festival: Michela Occhipinti presenta il suo primo lungometraggio Flesh Out - Il corpo della sposa.
Presentato alla Berlinale 2019 nella sezione Panorama, Il corpo della sposa – Flesh Out debutta in anteprima al Bari International Film Festival, arrivato alla sua decima edizione. A firmare il film è la regista Michela Occhipinti, al suo primo lungometraggio dopo una carriera costellata da documentari il cui più noto, Lettere dal deserto (elogio della lentezza) ha fatto il giro del mondo.
Ne Il corpo della sposa la libertà femminile è ancora strettamente legata a locali tradizioni culturali
Ambientato in Mauritania, stato occidentale dell’Africa settentrionale, a confine tra il deserto del Sahara a est e l’Oceano Atlantico ad ovest, Flesh Out racconta il percorso di Verida a tre mesi da un matrimonio obbligato dalla sua famiglia. Come tradizione locale comanda, infatti, la ragazza deve sottoporsi necessariamente al gavage, ovvero deve intraprendere una serrata dieta che la farà ingrassare fino a raggiungere quell’ideale di bellezza prefissato dalla sua società. La protagonista, però, appare fin da subito in contrasto con il suo mondo: Verida è una ragazza molto socievole, frequenta le sue amiche, utilizza i social network cozzando con quell’idea di arretratezza che la visione di quei luoghi ci porta con se.
Il corpo femminile e la libertà della donna sono le tematiche centrali di Flesh Out. Nota a margine: l’espressione Flesh Out, utilizzata come sottotitolo, ha il significato di sviluppare, rimpolpare. La regista Michela Occhipinti realizza il suo primo lungometraggio raccontando con estrema sincerità l’altra faccia della medaglia di un problema universale. Se nella società a noi vicina lo stereotipo di bellezza è ancora descritto – ed esasperato – attraverso misure minute e corpi longilinei, in altri luoghi, come la Mauritania raccontata, questo viene ribaltato: alcune donne africane devono raggiungere il peso ideale prima del matrimonio, molte sono costrette a dover ingrassare oltre i venti kg per conquistare l’obiettivo prefissato.
La nostra protagonista tenta una ribellione in questo senso. Il mondo moderno combatte contro un’arretratezza socio-culturale che è difficile da sradicare. Verida si ritrova da sola non solo contro il macrocosmo che è la sua città, ma anche con la controparte microcosmica che è la sua famiglia, una madre ed una nonna, in particolare, fermamente severe nel guidare la ragazza nel suo percorso pre-matrimoniale. Ne Il corpo della sposa spinge, nel suo racconto, ad una profonda riflessione verso la sua tematica principale: la donna, ancora oggi, non ha raggiunto una piena libertà del proprio corpo, nonostante culture diverse, a volte totalmente opposte, ma accomunate da una percezione ugualmente distorta.
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Cinematografia al servizio della storia in Flesh Out
Michela Occhipinti ci mostra, attraverso gli occhi di Verida, un mondo contrapposto al nostro ma tematicamente universale. Un manifesto femminista genuino, necessario, e mai urlato che ci porta a chiederci fino a quando la donna sarà legata da una cultura di massa stereotipata, o da tradizioni rituali tipiche del luogo in cui vive – come in questo particolare caso. La cinematografia è al servizio della storia ne Il corpo della sposa. La sofferenza e l’incapacità di reagire della protagonista vengono mostrate attraverso i silenzi dei suoi pasti, sferzati dai soli rumori di masticazione o sorseggio, fastidiosi all’orecchio umano, come a voler enfatizzare il patimento di questa pena obbligata. Un lavoro autentico, quello della Occhipinti, palpabilmente mostrato da una regia precisa, determinata ma anche fortemente empatica.