Il cavaliere oscuro: recensione del film di Christopher Nolan

Il Cavaliere Oscuro accarezza molti generi diversi: il noir, il thriller, l'action, persino il western, mostrando un mondo alla fine della civiltà, in cui la giungla e la sua legge sono in agguato.

Quando uscì, nel 2008, Il cavaliere oscuro di Christopher Nolan, vi era molta attesa da parte del pubblico, che aveva oltremodo apprezzato il primo episodio (Batman Begins) ma anche una non indifferente quantità di scettici, che temevano che il sequel fosse più fiacco (come spesso era capitato) e soprattutto non avevano idea di cosa aspettarsi da Heath Ledger nei panni del Joker.
A tutti sembrava che dopo Jack Nicholson, non vi fosse altro da mostrare al cinema sul personaggio, altri invece contestavano la scelta dell’attore da parte di Nolan, oppure invocavano qualche altro cattivo da mettere di fronte al Cavaliere Oscuro, giusto per non risultare ripetitivi.
La realtà è che nessuno sapeva cosa aspettarsi, nessuno aveva idea di cosa il regista di Memento e The Prestige avrebbe mostrato al mondo ma, quando arrivò nelle sale, il risultato lasciò pubblico e critica senza fiato e ancora oggi è giusto chiedersi se tale impatto non abbia avuto, in fin dei conti, anche degli effetti collaterali negativi su quanti abbiano cercato di andare oltre il concetto di cinecomic come blockbuster d’azione, trovandosi la strada sbarrata da questo film.

Il cavaliere oscuro: una scommessa vinta

Christian Bale poté approfondire maggiormente il personaggio in entrambe le vesti, ci mostrò il suo dimenarsi tra la volontà di indossare quella maschera, essere ciò che serve a Gotham e l’agognare una vita normale, con la sua Rachel Dawes a cui Maggie Gyllenhaal donò sicuramente maggior grazia, carisma e spirito di Katie Holmes.
Aaron Eckart fu un Harvey Dent sicuramente diverso da ciò che il pubblico ed i fan del Cavaliere Oscuro si aspettavano, ma anche questo fu in realtà un elemento di grande interesse, dimostrò il coraggio da parte di Nolan di andare oltre il canonico, di portare qualcosa di personale.
Eppure, a dodici anni di distanza, è impossibile trovare un ruolo che sia entrato maggiormente nel cuore degli spettatori, che abbia anche in un certo senso posto un limite, una barriera invalicabile, come il Joker di Heath Ledger, che pochi mesi dopo la fine delle riprese morì in circostanze tragiche.

Il Cavaliere Oscuro

Un cattivo che è simbolo di libertà anarchica

Il film di Nolan è una lunga partita a scacchi, in certi momento pare quasi di vedere una trama disegnata da Arthur Conan Doyle, di osservare Holmes e Moriarty, con la differenza, però, che è Batman che per lunghi tratti è costretto ad inseguire, ad adattarsi ad una variabile impazzita, ad una sorta di elemento di disturbo costante di quella società che egli cerca in tutti i modi di salvaguardare da sé stessa.
Joker è “un agente del caos” per sua stessa ammissione, e assurge, ne Il cavaliere oscuro, a simbolo del rifiuto inconscio, irrazionale, dell’individuo verso la massa, la legge, le regole, andando ad accarezzare quella forma di libertà totale, assolutista, che distrugge le altre, che nega ogni concetto di empatia e di solidarietà tra esseri umani.
Non è neppure un criminale nel senso tipico del termine, dal momento che il crimine si prefigge da sempre come una sorta di scorciatoia per ottenere quel qualcosa che la vita “normale” di solito prevede attraverso lunghi e difficili percorsi.

Un Batman meno “muscolare” e più detective

Joker brucia il denaro, brucia le persone, i palazzi, tutto quello che fa lo fa per inseguire quella “macchina”, quel Cavaliere Oscuro, il suo Mulino a Vento, il suo alter-ego, l’uomo che incatena la propria irrazionale sete di vendetta e le proprie emozioni dietro una doppia identità, una doppia maschera, una doppia gabbia.
B
atman, Bruce Wayne, di cui Nolan e Bale esaltano il lato più umano, investigativo e scientifico, l’essere detective, spia, ninja furtivo più che la macchina schiacciasassi vista con Affleck o il tenebroso tormentato di Keaton, che ha di fronte qualcuno che fa della disciplina il suo peggiore nemico, ma che è capace di trame di perfida genialità, che non crede minimamente al concetto di causa-effetto.
Ci sono uomini che “non si possono né comprare né dominare” gli ricorda il fedele Alfred, che ha il volto duro ed elegante di Michael Caine, “non ci si ragiona né ci si tratta”, il male come istinto, come scelta, come gioco, un po’ come il bambino che brucia le formiche con una lente perché può farlo, perché la libertà totale è questo, il libero arbitrio scevro da ogni empatia, quella che i padri ti insegnano è questo.

Il cavaliere oscuro: uno scontro tra due reietti

Il padre Bruce lo ha perso, ci ha costruito sopra una missione, un totem, Joker non capiamo neppure se lo abbia mai avuto, ma Nolan di entrambi ci mostra il moto costante per Gotham alla ricerca di qualcosa con cui riempire un vuoto che hanno dentro.
Il cavaliere oscuro accarezza molti generi diversi: il noir, il thriller, l’action, persino il western, ci mostra un mondo alla fine della civiltà, in cui la giungla e la sua legge sono in agguato, in cui Joker si muove come una di quelle star del punk, del metal, che sovvertivano l’America e l’Inghilterra benpensanti ed ipocrite di Reagan e della Thatcher, e di cui la sceneggiatura dei due Nolan fa il profeta di sventura, il pifferaio magico dei peccati di un’era di materialismo, di cupidigia e ipocrisia.
“Siamo mostri” ripete a Batman, “io e te siamo uguali”. E ha ragione. L’anomalia a Gotham, tra di noi, viene mostrata da Nolan per quello che è: condannata alla sconfitta, all’emarginazione, all’esclusione dalla società.

Un film oltre il genere d’appartenenza

Sontuoso nella fotografia, nella colonna sonora, nel montaggio, cupo, disperato, Il cavaliere oscuro si muove con sicurezza verso il film d’autore, si stacca sovente dal riferimento comic puro, ancora oggi pure troppo secondo diversi fan dell’uomo-pipistrello, ed è sicuramente il suo grande limite.
Ma anche il suo pregio più inestimabile, e d’altronde solo con Batman, il personaggio più “politico” e più torbido dei fumetti, tale operazione poteva avere un senso, poteva avere una ragion d’essere.
Il bene ed il male, il limite della libertà individuale, quanto conta la verità o se sia meglio un’utile menzogna, e poi quelle domanda, quelle domande nascoste sotto il trucco del più infernale cattivo della storia dei fumetti: Chi siamo veramente? Chi sei tu, Bruce, paladino di una città che ti rifiuta, nascosto sotto una maschera di carne? Sai cosa sei e cosa fai? Sai cosa ti costerà? Perché lo fai soprattutto?
Il triangolo Dent-Joker-Batman, a tanti anni di distanza, si erge a simbolo del conflitto tra uomo e società, uomo e verità, si ricollega al mito di Platone, a quella caverna, che è la stessa dentro cui si agita Il cavaliere oscuro, in cui Wayne e Batman si uniscono e si intrecciano ogni volta.

Per questo, anche per questo, Il cavaliere oscuro di Cristopher Nolan è stato qualcosa di diverso da un cinecomic, è stato la fusione tra il genere e quell’autorialità che si fa portatrice di una chiave interpretativa del mondo circostante.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4.5
Fotografia - 4
Recitazione - 4.5
Sonoro - 4
Emozione - 4

4.2