Hunger Games – La Ballata dell’Usignolo e del Serpente: recensione del prequel

Il quinto film della serie è un prequel. Hunger Games - La Ballata dell'Usignolo e del Serpente, con Rachel Zegler, Tom Blyth, Viola Davis e Peter Dinklage, arriva nei cinema italiani il 15 novembre 2023.

Il quinto Hunger Games è il primo in ordine cronologico. In Italia arriva il 15 novembre 2023 per una distribuzione Notorious Pictures. Hunger Games – La Ballata dell’Usignolo e del Serpente, prequel della celebre saga, è diretto da Francis Lawrence e ha per protagonisti Tom Blyth, Rachel Zegler, Viola Davis, Jason Schwartzman, Peter Dinklage e Hunter Schafer. Anticipa di parecchi decenni la linea temporale dei quattro film che lo hanno preceduto; nel panorama conformista del cinema commerciale americano, l’immaginario distopico del franchise ha i suoi motivi di originalità. Che sarebbero, oltre l’azione e il sentimento, un’intelligenza di fondo, una riflessione su immagine, media e potere molto interessante. Il film è tratto dal romanzo del 2020 della scrittrice americana Suzanne Collins, creatrice della serie, ed è l’origin story di un cattivo. Del cattivo. Di Coriolanus Snow.

Hunger Games – La Ballata dell’Usignolo e del Serpente: ritratto del villain da giovane

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Coriolanus Snow nei primi quattro film è interpretato da Donald Sutherland. Qui è solo un ragazzo confuso, ipotesi di villain alla disperata ricerca di un buon motivo per essere cattivo. Di spazio per ambiguità e sottigliezze ce n’è poco, sappiamo bene come andranno a finire le cose. Non è questo il punto. La domanda che interessa a Francis Lawrence, con Hunger Games – La Ballata dell’Usignolo e del Serpente, non è cosa succede o perché. Piuttosto, come Coriolanus Snow sia diventato il personaggio che gli spettatori hanno imparato a conoscere e temere. La prima, la principale sfida del film, è tenere alta l’attenzione. Non c’è sorpresa in una storia pensata così, ma suspense. Sappiamo a che ora parte il treno e a che ora arriverà, in quale stazione anche. Resta da capire come sarà il viaggio.

Per questo, servono personaggi interessanti e una narrazione che sappia innovare senza intaccare il canone. La ragion d’essere del film è un prezioso equilibrio; novità nell’abitudine. Il passato punta verso il presente, ma non è il presente. Il giovane Coriolanus Snow (Tom Blyth) è il rampollo di una famiglia decaduta, vive ai margini dell’alta società di Capitol City con la sorella Tigris (Hunter Schafer) e la Signoranonna (Fionnula Flanagan). Studia all’Accademia e insieme ai compagni di corso deve fare da mentore ai tributi per l’annuale edizione degli Hunger Games, il gioco/reality di abuso, sopraffazione e morte violenta che è l’anima di Panem, della sua società e distorta filosofia.

La ragazza tributo di Snow si chiama Lucy Gray (Rachel Zegler), viene dal distretto 12, come più avanti Katniss Everdeen, la protagonista della serie interpretata da Jennifer Lawrence. Ha una voce bellissima, un carattere forte e non si lascia travolgere dalla situazione disumana. Snow è colpito, le tenta tutte pur di salvarle la vita, arrivando anche a violare le regole dei giochi. La cosa non fa piacere al direttore, Casca Highbottom (Peter Dinklage), l’infelice creatore degli Hunger Games, nemmeno alla Dottoressa Gaul (Viola Davis), di professione Stratega. Coriolanus ha un’intuizione: puntare forte sul profilo mediatico dei giochi – conduce un azzimato e sopra le righe Jason Schwartzman – e fare dell’immagine dei concorrenti uno strumento di visibilità e potere, in modo da garantirgli ulteriori chance di sopravvivenza. Scopriamo che la popolarità dei Games è plasmata dalle idee del protagonista. Il film ci arriva in maniera confusa e disordinata.

Un film in tre atti e i suoi limiti

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Struttura in tre atti per il passaggio al lato oscuro e conseguente perdita di integrità morale di Coriolanus Snow. Prima parte, sbrigativi antefatti e incontro tra Lucy e Coriolanus. Seconda parte, i giochi. Terza parte, che sarebbe quella decisiva, lontano dalla capitale. Non è il caso di svelare troppo. Non riesce, il film, ad “esplorare” come si deve Lucy e Coriolanus. Soprattutto a misurare quanto di nobile e giusto ci sia nella personalità di lui; la progressiva disumanizzazione del personaggio è per questo meno efficace. Il secondo atto, i giochi, ha la tensione giusta ma è difficile investire emozioni in una storia della quale si anticipa molto, forse troppo. Il terzo atto, quello che dovrebbe “cucire” Hunger Games – La Ballata dell’Usignolo e del Serpente con i restanti quattro film, ha due grossi problemi.

Cambiano gli ambienti e i caratteri dei personaggi; la sensazione (frustrante) è che a cominciare sia non la terza parte, ma un piccolo film dentro il film. Il secondo grosso problema è lo svelamento del cuore di tenebra di Coriolanus Snow, dato per scontato e risolto sbrigativamente. Non cogliendone la purezza d’animo all’inizio, il male che emerge alla fine è stereotipato e non adeguatamente motivato. Non c’è uno shock, un conflitto interiore, un trauma, una cesura che segnali il prima e il dopo del protagonista. Tom Blyth e Rachel Zegler devono scrollarsi di dosso fantasmi ingombranti, quelli di Jennifer Lawrence e Donald Sutherland; ci riesce meglio lei, che ha dimestichezza con il cinema commerciale e aspettative di un certo tipo. La storia fa poco per aiutarli.

E se la forza di Hunger Games – La Ballata dell’Usignolo e del Serpente è, come da tradizione per il franchise, l’abbinamento di azione e riflessione – la politica dell’immagine come strumento di consenso, dissenso e popolarità, la sopraffazione degli inermi e l’ineguale distribuzione della ricchezza – la sua debolezza è l’inerzia, la pigrizia di una storia che sa quello che vuole ma non sa come arrivarci. C’è solo l’intelaiatura del film che avrebbe potuto essere: il dramma in tre atti, il fantasma del futuro che incombe, il lento, inesorabile scivolamento dal bene al male. Manca il sangue, l’emozione, la carne viva di una narrazione capace di confrontarsi con la naturale ambiguità della situazione.

Hunger Games – La Ballata dell’Usignolo e del Serpente: conclusione e valutazione

Francis Lawrence ha le chiavi (cinematografiche) della saga, ma con Hunger Games – La Ballata dell’Usignolo e del Serpente (al cinema dal 15 novembre 2023 per Notorious Pictures) non riesce a instaurare un paragone convincente tra il prequel e i quattro precedenti. Il film non ha un conflitto vivo, autentico, al centro. È la mera concatenazione di azioni meccaniche che portano a un punto prestabilito, la disumanizzazione di Coriolanus Snow. Senza svolte, parentesi, di vero interesse. La costruzione del design distopico, a metà strada tra citazionismo del franchise e richiamo a un (nostro) passato famigerato e a una certa iconografia autoritaria, manca di originalità. Un’occasione sprecata.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 2.5
Emozione - 2.5

2.4