Hopper e il tempio perduto: recensione del film d’animazione di nWave Pictures

Ben Stassen e Benjamin Mousquet dirigono una piacevole avventura coming of age citazionista per tutta la famiglia.

Il film d’animazione Hopper e il tempio perduto, la cui trama è basata su una breve serie di graphic novel di Chris Grene, pubblicata da Dark Horse nel 2000, si rivela un piacevole racconto di formazione come nei migliori capisaldi Disney, con un’ottima dose di commedia, una caratterizzazione dei personaggi ben marcata e un intreccio narrativo efficace ma che non osa andare oltre la classica formula del coming of age in un universo in cui Chicken Little incontra Indiana Jones.

Il film, diretto dai registi Ben Stassen e Benjamin Mousquet, si focalizza sulla figura di Hopper (Thomas Solivéres), un simpatico cucciolo a metà tra una lepre e un pollo, cresciuto dal padre adottivo (il re Peter, un grande avventuriero). Sin dall’infanzia Hopper viene emarginato a causa del suo aspetto ibrido. Nonostante voglia disperatamente essere accettato dalla società, Hopper non trova la forza per essere sé stesso, cercando di omologarsi agli altri nascondendo le sue zampe da pollo e indossando un cappello per celare le piume in testa. Per sfuggire alla realtà, Hopper si rifugia nel suo sogno di diventare un grande avventuriero e seguire le orme del padre adottivo. Grazie all’aiuto del suo amico-servitore Archie la tartaruga (Nicolas Maury), Hopper spende ogni giorno della sua infanzia a studiare e documentarsi sui cacciatori di tesori più famosi del mondo.

Una film d’avventura piacevole ma che lascia poco spazio all’immaginazione e all’originalità

Un fallimento dopo l’altro, tuttavia, costringe Hopper a domandarsi se la strada dell’avventuriero faccia davvero per lui. Tutto cambia quando il suo malvagio zio Lapin scappa di prigione e minaccia di detronizzare il re. Hopper avrà finalmente l’occasione di provare il suo valore. È proprio da qui che incomincia il cammino dell’eroe, un epos in cui Hopper potrà finalmente fare tesoro di tutto ciò che ha imparato e a percepire le sue caratteristiche fisiche non più come difetti ma come strumenti. Ad aiutarlo nell’impresa di rovesciare i piani dello zio, ci saranno la fedele tartaruga Archie e Meg (Chloé Jouannet), una puzzola esperta in arti marziali, anche lei emarginata a causa della sua natura. 
Per quanto la trama proceda con un buon ritmo, la scrittura dei dialoghi appare spesso troppo approssimativa e poco curata: l’intenzione di inserire elementi comici anche dove non c’è n’è bisogno porta a una sterilizzazione delle scene che apparirebbero più convincenti e con un maggior spessore emotivo con un pizzico di serietà in più.

Un trio ben caratterizzato e bilanciato

I personaggi di Archie e Meg, lo studioso introverso e pessimista e l’avventuriera senza paura e con un passato torbido alle spalle, fungono da bilanci perfetti a Hopper che rappresenta l’unione dei caratteri dei suoi compagni. Da un lato, la paura e lo scetticismo di poter veramente cambiare al propria vita simboleggiata da un Archie passivo e cinico; dall’altro lato, la puzzola Meg, caratterizzata da aggressione, coraggio e desiderio di vincere e farsi valere. Un bilanciamento simile allo Ying e allo Yang in cui Hopper rappresenta l’unione dei due aspetti fondamentali dell’eroe: la paura e la voglia di avventurarsi verso l’ignoto nonostante i dubbi esistenziali che lo pervadono.

Un viaggio che non intraprende solo per trovare un tesoro perduto o fermare il suo malvagio zio ma anche (soprattutto) per trovare sé stesso. Un’esplorazione accompagnata da una colonna sonora incalzante ma non memorabile creata dalla band belga Puggy che rimanda chiaramente ai grandi classici di avventura, primo tra tutti il già citato Indiana Jones, passando per Star Wars. La regia offre il suo meglio nelle scene d’azione che, unite ad un’animazione realistica, regalano una gioia per gli occhi.

Hopper e il tempio perduto, alla fine dei conti, si rivela essere una parabola ottimistica sull’importante tema di cosa significa crescere e crearsi un’identità propria senza curarsi del giudizio altrui. Per alcuni versi, Hopper non è dissimile da decine di altri film per ragazzi che non aggiunge molto altro alla classica ricetta di una storia coming of age già consolidata negli anni dagli studi Disney e Dreamworks (Brave, Ratatouille, Wall-E per citarne alcuni). Un film piacevole per tutta la famiglia che forse avrebbe potuto prendere esempio dal protagonista e cercare di sfruttare la sua narrativa in qualcosa di diverso e speciale ma che ha preferito ricalcare le orme dei suoi predecessori senza lasciare una traccia del proprio passaggio.

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Regia - 3
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3.5
Emozione - 2.5

2.8