Highest 2 Lowest: recensione del film di Spike Lee da Cannes 2025

Il film di Spike Lee, presentato in concorso alla 78ª edizione del Festival di Cannes

Un thriller sporcato dalla commedia, il classico snaturato, riproposto in chiave estremamente più leggera, una patina visiva, un accompagnamento sonoro infastidente; alla 78ª edizione del Festival di Cannes, tra le star fuori concorso brilla il nome di Spike Lee che, assieme a Denzel Washington, porta il suo ultimo progetto: Highest 2 Lowest, rivisitazione del capolavoro di Akira Kurosawa, Anatomia di un rapimento. Già dal titolo, il film dichiara il suo intento di sovvertire gerarchie, codici, equilibri morali e stilistici, ricalibrandoli secondo una grammatica urbana e pop . Alla quinta collaborazione tra Lee e Washington (dopo Mo’ Better Blues, Malcolm X, He Got Game e Inside Man, del 2006), si affianca il ritorno di Ilfenesh Hadera, attrice già cara al regista newyorkese e qui in un ruolo meno marginale, e alla special guest, A$AP Rocky. La sceneggiatura è firmata da William Alan Fox, ma è impossibile non riconoscere la mano autoriale di Spike Lee nel tessuto culturale e tematico che la permea. A firmare la fotografia Matthew Libatique, noto per la collaborazione con Aronofsky e per la sua luce nervosa, qui insolitamente liscia e televisiva. Barry Alexander Brown monta il tutto con l’aiuto di Allyson C. Johnson, mentre le musiche – elemento cardine e tradizionalmente imprescindibile nei film del regista, qua totalmente stonato e fuori contesto – sono affidate a Howard Drossin. La produzione è A24 e le riprese si sono svolte a New York tra marzo e maggio 2024.

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La ricchezza e la morale

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Parte tutto da New York, da uno skyline illuminato a giorno che segue il flusso cittadino: il film nasce in una città che pulsa, osserva, schiaccia. Al centro del racconto David King (Denzel Washington), magnate della produzione musicale, imprenditore in declino ma ancora pieno di sè, ancora re nel suo regno domestico. Accanto a lui la moglie Pam (Ilfenesh Hadera) e il figlio adolescente Trey, per il perfetto dipinto familiare non intento a sporcarsi, in una villa affacciata su Central Park, fino a quando una telefonata interrompe ogni equilibrio: Trey è stato rapito per un riscatto milionario. Presto i “cattivi” si rivelano timorosi e inesperti, poiché si scopre essere stato rapito, in realtà, il figlio dell’autista Paul (Jeffrey Wright), confidente e primo consigliere di David. Il dubbio morale esplode: vale la pena pagare per salvare il figlio di un altro uomo? Da qui, il viaggio attraverso le contraddizioni di un uomo e di una città che sembrano collassare sotto il peso delle proprie diseguaglianze. Intanto Yung Felony (A$AP Rocky), astro nascente della trap, appare sullo sfondo, minaccioso e sfuggente.

Thriller urbano e commedia amara, Highest 2 Lowest costruisce la sua identità tra i margini di una moralità ambigua, dove la famiglia è la certezza ma il denaro ne misura ogni affetto. Spike Lee disegna il ritratto di un mondo che confonde il giusto con la convenienza, il sacrificio e con l’investimento. La figura paterna si sfalda, smette di essere fondamento etico, moralmente inattaccabile, e si fa baricentro di nevrosi, orgoglio e fallimento. Il confronto non è solo tra due padri, ma tra due classi, due mondi: chi possiede tutto e chi rischia di perdere la sua unica ricchezza. New York si impone come spazio simbolico, presenza ingombrante che assorbe ogni decisione e moltiplica le angosce. La musica, lo sport, le radici black: elementi che in passato costituivano la linfa del cinema di Lee, qui affiorano evidenti ma deboli, lasciando il posto a un linguaggio più patinato, quasi dimesso, a tratti sbiadito nei suoi stessi riferimenti. Eppure resta vivo, seppure disattivato, il tentativo di affrontare la questione razziale e sociale con gli strumenti del cinema popolare.

Highest 2 Lowest: valutazione e conclusione

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Un film che avrebbe dovuto far rumore, ma che inciampa nel peso delle sue stesse ambizioni. Highest 2 Lowest sembra incapace di restituire la complessità del testo cui si ispira e, soprattutto, quella del regista che lo firma. La scelta di rileggere Kurosawa in chiave urbana e contemporanea – già azzardata – si rivela, nel caso di Lee, sorprendentemente sterile. La colonna sonora, onnipresente e molesta, tradisce ogni possibilità di tensione – e pare assurdo visto : una musichetta da commedia che banalizza i momenti chiave, stona con il ruolo di David King e offende la storia che dovrebbe accompagnare. La black music – un tempo centrale nel cinema di Lee – è qui ridotta a semplice cornice, così come A$AP Rocky, villain dal carisma opaco e mai davvero inquietante. La fotografia, troppo accesa, fa pensare a una serie tv di medio budget, privando il racconto di profondità visiva. La sceneggiatura sceglie la via più semplice, mentre la regia – ad eccezione di qualche ripresa dall’alto della città – non osa, non provoca, e soprattutto non inventa. Resta il nome di Spike Lee, ma è una traccia sussurrata sullo sfondo.

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Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2.5
Recitazione - 3
Sonoro - 1.5
Emozione - 2

2.3