Gorgonà: recensione del film da Venezia 82
Alla Settimana Internazionale della Critica arriva una distopia femminista.
In concorso alla Settimana Internazionale della Critica di Venezia 82, Gorgonà di Evi Kalogiropoulou è un film distopico femminista.

Primo lungometraggio della regista, il film racconta le vicende di Maria, una giovane donna che vive in una città stato-greca, in un futuro non troppo lontano. In questo contesto, il cambiamento climatico, le guerre e la scarsità di risorse energetiche hanno sprofondato il mondo in una sorta di caos tribale. La città-stato mantiene una parvenza di organizzazione grazie alla presenza, al suo interno, di una delle ultime raffinerie di petrolio. La società è qui basata su una gerarchia militare maschile. Nonostante ciò Maria, amante di Nikos, il capo della comunità, riesce a entrare fra i possibili candidati alla successione per il comando. I precari equilibri di potere verranno definitivamente abbattuti con l’arrivo in città di Eleni, una prosperosa cantante, venduta a Nikos da un altro villaggio, in cambio di un gallone di petrolio.
Gorgonà: l’archetipo dell’eroe ai tempi del femminismo filmico
La struttura narrativa del film segue il classico percorso narrativo del viaggio dell’eroe. Maria è chiamata infatti a un compito più grande di lei, quello cioè di rinnovare la propria società, abbattendo il dominio patriarcale. Non accetta subito questa responsabilità. Inizialmente la ragazza pensa infatti di poter cambiare le cose dall’interno, mantenendo lo status quo militarista. Insomma rifiuta la chiamata all’azione, come ogni eroe mitico che si rispetti. Poi attraverso un mentore sentimentale, Elani e la scoperta dell’eredità magica materna, la protagonista compierà il proprio destino, uccidendo l’amante, padre metaforico e orco-drago.

È chiaro dunque l’intento della regista di volgere al femminile una tradizione ancorata per buona parte della storia culturale occidentale all’universo maschile e alla retorica patriarcale. Da qui la costruzione di una società guerriera, entro cui Maria è l’unica donna a esser accetta. Le altre hanno il ruolo di oggetti sessuali. Contribuisce a confermare tale lettura anche la figura di Elani. La donna rappresenta una femminilità tradizionale, che, nell’accettare la propria sessualità, si trasforma da oggetto agito a soggetto agente. Ella spinge la protagonista a rifiutare il proprio contesto e dunque la propria educazione guerriera in nome di una sessualità libera, non binaria e femminile. Una funzione diametralmente opposta a quella del mentore dei racconti mitici, solitamente un anziano uomo che aiuta l’eroe a scoprire o affinare le proprie doti guerriere, con corollario di disciplina e morigeratezza sessuale, che spesso sfocia nella castità o al massimo nell’amore eteronormato. Il tradizionale strumento magico, capace di aiutare l’eroe nel suo percorso, diventa invece un potere psichico ereditato da una madre dai connotati stregoneschi. Di nuovo l’eterno femminino, la strega intesa come rappresentante di un antico matriarcato in contatto con le forze occulte e irrazionali del creato. La protagonista di Gorgonà così si configura come un archetipo femminile contemporaneo, mix fra Carrie ed Eleven di Stranger Things, che incanala il proprio potere nello sguardo distruttore. Non è un caso che il titolo scelto dalla regista per il suo esordio si richiami alle mitiche gorgoni – si pensi allo sguardo pietrificante di Medusa.

Sulla carta questo Gorgonà possiede tutti i numeri per essere un’interessante rielaborazione di una certa mitologia postmoderna e post-anime. Purtroppo nel meccanismo qualcosa si inceppa. La Kalogiropoulou è troppo interessata a rendere palesi le metafore femministe attraverso la rappresentazione della sessualità. Al contrario si cura troppo poco di fornire allo spettatore un universo fantastico coerente. La maggior parte dei personaggi è abbozzata e macchiettistica, così come risulta macchiettistico il rozzo ambiente maschilista entro cui si muove la protagonista. Ora, se il tono generale dell’opera fosse improntato alla satira, questo non sarebbe un problema. Ma il film, nel suo ispirarsi a saghe post-apocalittiche come quella di Mad Max di Miller o – in misura minore – a quella del manga di Buronson e Hara, Ken il guerriero (1983), tende a prendersi abbastanza sul serio. Inoltre il topos per cui la sopravvivenza della civilizzazione è legata allo sfruttamento delle risorse non rinnovabili, per quanto ancora pregnante, appare un po’ forzato. Infine il finale “rivoluzionario” sembra venire fuori dal nulla, privo di una qualsiasi forma di costruzione narrativa, tanto da risultare didascalico e privo di pathos.
Gorgonà: valutazione e conclusioni
Insomma Gorgonà avrebbe tratto giovamento da una diminuzione delle scene di sesso, in favore di un maggior numero di sequenze volte a offrire un world building più dettagliato e un background etico e umano più interessante per protagonista e comprimari. Risulta invece vincente l’idea – ispirata al Cronenberg dell’ultimo Crimes of the Future (2022) di utilizzare location greche reali, fatte di case popolari fatiscenti e barche dismesse, in grado, senza troppi lavori di scenografia e CGI, di restituire un perfetto landscape distopico.