Gli anni Super 8 – recensione del film di Annie Ernaux
Presentato alla Festa del Cienma di Roma 2022, Gli anni Super 8, il film documentario del premio Nobel 2022, Annie Ernaux e del figlio David Ernaux-Briot, arriverà prossimamente al cinema con I Wonder Pictures.
Gli anni Super 8 è il primo lungometraggio della scrittrice premio Nobel, Annie Ernaux. La Ernaux, coadiuvata dal figlio David Ernaux-Briot ha recuperato una serie di filmini di famiglia, girati in Super 8 dall’ex marito Philippe Ernaux tra il 1972 e il 1981, con l’intento di costruirvi attorno una narrazione in grado di integrare, secondo le parole dell’autrice stessa, “la testimonianza […] dello stile di vita e delle aspirazioni di una classe sociale, nel decennio successivo al 1968” con quella della storia sociale, politica e antropologica del periodo preso in considerazione.
Con Gli anni Super 8 Annie Ernaux ci porta in un tempo ormai lontano
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Effettivamente la brillante scrittura dell’autrice e l’attento montaggio di Ernaux-Briot riescono nell’intento di traslare lo spettatore in un periodo storico ormai lontano, attraverso vicende familiari, come viaggi di famiglia in Cile, Turchia e Mosca o visite alla sorella della scrittrice che vive in campagna.
Ad un primo sguardo, dunque, siamo di fronte a un documentario della memoria, fatto di stralci di tempo libero di una famiglia borghese. Lo sguardo è spesso quello del turista che, quando visita luoghi dove è in atto il “socialismo reale”, resta affascinato o atterrito. Ma poi può tornare a casa in tranquillità e riprendere la propria vita fatta di routine e obblighi sociali. È la scrittura, la narrazione che lega insieme questi frammenti di mondi lontani nel tempo e nello spazio, a restituire una prospettiva contraddittoria, in grado di negare il valore simbolico/borghese delle immagini. Ogni oggetto, vestito, architettura, corpo e volto ripreso dal marito della Ernaux, divengono, nella narrazione, degli oggetti di analisi, da scomporre nelle proprie unità minime e ricomporre in un dialogo con la storia di un mondo che seguiva traiettorie allora impensate, ma oggi scontate. Così il ricordo della vita anticonformista della sorella diventa occasione per ricordare la cecità di una classe borghese progressista, che non si rendeva conto dei processi di urbanizzazione e industrializzazione che di lì a poco avrebbero dato l’assalto agli ultimi resti di natura incontaminata. I viaggi in Albania e a Mosca diventano un’amara riflessione sull’incapacità dell’ideale comunista di resistere al tempo. Ma soprattutto la Ernaux oggettivizza anche il ricordo di sé stessa, attraverso la scelta di riferirsi spesso alla propria immagine, in terza persona. La scrittrice, che aveva l’ambizione di “vendicare il proprio popolo con la scrittura” diventa essa stesso oggetto di scrittura, all’interno di una dinamica culturale tutt’altro che popolare.
Questo processo di oggettivizzazione ha un fine preciso: trasformare ogni evento ripreso in una traccia di una vita in grado di trascendere sé stessa, fino a diventare il fantasma di un’assenza. Un’assenza propria non di quel passato, ma di questo nostro presente: l’assenza di quelle ambizioni, a volte ingenue – come quella di cercare il socialismo di sinistra in un uomo come Mitterrand, negli anni in cui le idee radicali marxiste e libertarie incendiavano il mondo – in grado di essere motore di un flusso vitale continuo. Lo stesso che ha portato il mondo a evolversi nei diritti e nella presa di coscienza delle ingiustizie.
La memoria, la vita e la contrapposizione tra visivo e sonoro nel film di Annie Ernaux e del figlio David Ernaux-Briot
In questa prospettiva dunque il lavoro di Ernaux e figlio si pone nel solco di un cinema di montaggio che esibisce il proprio processo di costruzione di senso. Attraverso la riconfigurazione di stralci di realtà, in una dialettica che contrappone il visivo e il sonoro, questo cinema afferma che non è possibile ambire a restituire una verità storica totalizzante, ma solo delle singole verità individuali. Queste ultime, a loro volta, se accostate nella giusta maniera, possono diventare catalizzatori di un processo epifanico. Un processo che appunto permette di rivelare quella inquietante assenza presente di cui abbiamo parlato e che ci spinge a riflettere non tanto sulle dinamiche della fine della storia d’amore fra l’autrice e Philippe, avvenuta negli anni ottanta e il cui ricordo conclude il film, quanto sulla crisi epistemologica delle forme di categorizzazione della modernità. Proprio negli anni ottanta, infatti la fine del paradigma modernista ha investito la società occidentale e ha decretato il trionfo del paradigma postmodernista, per cui non è stato più possibile interpretare la realtà alla luce di quelle ambizioni e spinte ideologiche che Gli anni Super 8 riportano, momentaneamente in vita, come ricordi spettrali di una dimensione oscura della Storia.
Presentato alla Festa del Cienma di Roma 2022, Gli anni Super 8, il film documentario del premio Nobel 2022, Annie Ernaux e del figlio David Ernaux-Briot, arriverà prossimamente al cinema con I Wonder Pictures.