Giovani Madri: recensione del film di Jean-Pierre e Luc Dardenne
Jean-Pierre e Luc Dardenne, i fratelli Dardenne, ritornano agli antichi fasti con Giovani Madri, un toccante e potente dramma pieno di speranza su cinque ragazze e cinque neonati in una casa famiglia in Belgio. Dal 20 novembre 2025 in sala.
Il cinema di Jean-Pierre e Luc Dardenne, universalmente noti come i fratelli Dardenne e così verranno chiamati d’ora in poi, è socialmente conscio e umanista, crudo e poetico; singolare (individuo) e plurale (comunità), in modo armonico. Giovani Madri (Jeunes Mères) è in uscita nelle sale italiane il 20 novembre 2025 per BIM Distribuzione e Lucky Red. Vincitore del Prix du scénario (Migliore Sceneggiatura) al Festival di Cannes 2025, a un soffio dalla terza Palma d’Oro – dopo Rosetta (1999) e L’Enfant – Una storia d’amore (2005) – è un clamoroso ritorno di forma per i fratelli belgi dopo anni di cinema inappuntabile dal punto di vista morale ma troppo chiuso in sé stesso (si vedrà poi perché) per colpire. È la storia di un gruppo di ragazze, cinque in tutto, in una casa famiglia in Belgio, la storia di cinque neonati e di identità, traiettorie e sentimenti in via di definizione. La perfetta distanza (simbolica, morale) della macchina da presa dai corpi, dalle anime, dalle vite delle protagoniste, è una lezione di cinema, di vita, di attenzione.
Giovani Madri: cinque storie, nessuna che conti più delle altre, tutte emblematiche e vere

I nomi sono Perla (Lucie Laruelle), Jessica (Babette Verbeeck), Julie (Elsa Houben), Ariane (Janaïna Halloy Fokan) e Naima (Samia Hilmi). Non esistono priorità o gerarchie di prestigio; non c’è un percorso, una madre, una giovane vita, che prevalga sulle altre. Giovani Madri è un film dallo sguardo largo, aperto, democratico. I fratelli Dardenne non sviliscono la carica emotiva (fortissima) della vita delle protagoniste in un abbraccio collettivo che annulla le differenze e fa dell’individuo un minestrone indistinto di sentimenti, paure e aspirazioni. Né dimenticano che le ragazze e i neonati vivono in rapporto a un mondo iniettato di relazioni familiari, frustrazioni e speranze.
Il primo pregio del film è di valorizzare la vita delle cinque protagoniste sia in rapporto alla dimensione individuale, a un percorso di crescita – diventare madri è la tappa decisiva di un processo più grande, la ricerca di sé – sia in relazione al mondo che continua a correre loro intorno. La storia si muove in circolo, accompagnando (parola importantissima) ciclicamente, ripetutamente, ogni ragazza. La verità dell’esperienza è restituita dalle convenzioni di un cinema che confida nella purezza e nella forza autoevidente, non intrusiva – sempre alla giusta distanza – dell’immagine, e non si affida solo alle parole. Le parole sono importanti, si sa, ma nel cinema dei fratelli Dardenne (e di chiunque abbia attenzione e rispetto per la vita umana), è la verità dei corpi e dei volti, la trasformazione dei corpi e dei volti, a contare.
Ogni fetta di vita racchiusa dall’abbraccio protettivo della casa famiglia ha in sé qualcosa di emblematico, di universale. Giovani Madri non però è una collezione di casi esemplari. La vita delle cinque madri e dei neonati, costruita a partire da un intenso lavoro di ascolto e preparazione, è un impasto di vita vissuta che diventa cinema senza sovrapporre ideologie o verità posticce, senza costringere film e personaggi a muoversi in una direzione precostituita. Quali sono le traiettorie? C’è la giovane madre che si prepara all’affidamento perché non sa e non vuole che si ripetano gli errori del passato. C’è quella che ce l’ha fatta; trova il lavoro e la stabilità, da sola con il piccolo/a, e va bene così. C’è la madre in attesa che si interroga sui fantasmi del rifiuto, quella che teme di cadere ancora una volta in tentazione, quella che fatica a definirsi senza un padre, un appoggio, un pilastro. La tenera ironia di Giovani Madri è che il film dei fratelli Dardenne mette la maternità al centro e al tempo stesso la ridimensiona.
La giusta distanza

La maternità riveduta ma non corretta non è l’unico paradosso di un film vitale e potente come non succedeva da un po’, con i fratelli Dardenne. La verità è che Giovani Madri è un film aperto e ottimista senza cedere alle comodità di un lieto fine di cartapesta; pieno di speranza, ma va capito come. La speranza, il film, la coltiva con estrema cura, ma non dimentica le crisi, il dolore e le difficoltà nella vita delle protagoniste. Anzi, è proprio da lì che viene la speranza, risposta rabbiosa ma non arrabbiata al dolore restituita dal lucido equilibrio di autenticità e quel tanto di artificio che serve anche al cinema politicamente e socialmente orientato. La macchina da presa accompagna, circonda, abbraccia quando è necessario, sempre alla giusta distanza. Né troppo lontana né troppo vicina, complice ma non oppressiva, rispettosa dell’intimità ma non amorale. È questa la radice del cinema dei fratelli Dardenne, e non è cambiata; nel migliore dei casi è un poderoso esempio di coerenza e lucidità. Nel peggiore, rigidità e incapacità di tenere il passo con i tempi.
Giovani Madri è uno splendido esempio del primo tipo: una coerenza incrollabile, una visione estranea alla contemporaneità e per questo forte, poetica, vera e, se l’orgia di retorica non ha già sommerso tutto, giusta. La maternità è il perno attraverso cui i fratelli Dardenne costruiscono un percorso di costruzione del sé, di perfezionamento dell’identità. Non si pensi che per le cinque protagoniste – dall’inesauribile spontaneità, e solo Elsa Houben (sopra) ha un percorso professionale davvero strutturato – la maternità non rappresenti l’esperienza decisiva, nel particolare momento della vita che il film ha scelto di fotografare. Ovviamente lo è, ma per le ragazze imparare a diventare madri significa capire cosa voglia dire essere genitori, figli, partner, come strutturarsi emotivamente, come inserirsi nel mondo del lavoro, come conciliare privato e non. Come essere, semplicemente, sé stesse.
È questo che fa il cinema dei fratelli Dardenne, con la sua forza politica e poetica, è questo che fa Giovani Madri: raccontare la vita in movimento. Il film indaga i corpi che cambiano e da lì scava un pertugio per l’anima, che proietta poi nel sociale, e dal sociale torna all’individuo. È la storia di cinque madri e dei loro figli. La storia di tutte le donne, madri e no; la storia di tutti i figli, la storia di tutti. L’equilibrio più riuscito del film è la mediazione tra artificio e spontaneità: Giovani Madri coltiva con cura l’illusione della vita che si sviluppa sotto i nostri occhi. È messa in scena, scrupolosamente organizzata ma autentica, perché la disponibilità all’ascolto dei suoi autori è totale, senza pudori o reticenze.
Giovani Madri: valutazione e conclusione
Baluardi di una visione socialmente consapevole del cinema – orgogliosamente neorealisti ma nel senso più corretto, non pittoresco o “panni sporchi” ma attenzione totale, disponibilità all’ascolto della vita e della sua verità multiforme – per i fratelli Dardenne Giovani Madri è il miglior film da più di un decennio. Questo perché, finalmente, il duo trova il modo di ricostruire con cura scrupolosa la dialettica tra individuo e ambiente; la produzione più recente era troppo schiacciata sull’individuo e non abbastanza aperta al racconto del contesto, per funzionare. Giovani Madri è un dramma venato di speranza che racconta la maternità nel modo più giusto – una tappa, fondamentale ma non esaustiva, nella vita delle cinque bravissime, autentiche protagoniste – e che trova nella verità dei corpi, accompagnati dallo sguardo vigile ma non intrusivo della macchina da presa, il senso di un cinema in perfetto equilibrio tra intimismo e carica politica.