Frankenstein: recensione del film di Guillermo Del Toro da Venezia 82
La recensione di Frankenstein, film Netflix di Guillermo Del Toro, presentato a Venezia 82.
Il mito di Frankenstein non invecchia mai, e anche Guillermo Del Toro si lascia affascinare da questa creatura. Il film Netflix, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 82, è un nuovo adattamento del romanzo di Mary Shelley; una versione più “romantica”, se così possiamo definirla, in cui il regista messicano racconta il “mostro” come meglio sa fare. Siamo nell’Estremo Nord nel 1857. Il dottor Victor Frankenstein (interpretato da Oscar Isaac) viene salvato da una nave danese di passaggio mentre fuggiva dalla furia di una spaventosa creatura.

A bordo, l’uomo viene curato e inizia a narrare la sua storia al Capitano dell’equipaggio (Lars Mikkelsen), a cominciare dalla sua infanzia. Cresciuto da una padre austero, Victor soffre per la perdita della madre – morta di parto dopo aver dato alla luce un bambino, William – e si appassiona man mano alla medicina. In realtà, il giovane, che non ha mai accettato la morte della mamma a cui era affezionato, è ossessionato dall’idea che la morte sia solo una fase, e che sia possibile riportare in vita un cadavere tramite l’assemblamento di corpi e il metodo scientifico. Nella sua folle idea, Victor crea una creatura, frutto di un mostruoso esperimento, che porterà entrambi alla rovina.
Frankenstein: il mito di Prometeo rivive in un adattamento originale intriso di romanticismo ed esistenzialismo

Nelle mani di Del Toro, il Frankenstein di Mary Shelley si trasforma in un racconto originale e romanticizzato, in cui il regista messicano, da sempre interessato ad esplorare “i mostri”, chiede allo spettatore di definire chi sono le vere creature: gli esperimenti mostruosi oppure gli esseri umani? Nel far ciò, Del Toro non abbandona il suo stile visivo poetico e d’impatto, servendosi di una fotografia che rispecchia il periodo storico in cui è ambientata la storia: luoghi segreti e oscuri, immagini di un’Inghilterra “al buio”, dove il sole sembra non sorgere mai. La trama basilare del film rimane la stessa dell’opera originale, però la narrazione viene romanticizzata al fine di favorire una miglior diversificazione di personaggi. Oscar Isaac interpreta un Victor Frankenstein che diventa schiavo della sua ambizione, e l’ossessione per essa lo renderà un uomo avido e arrogante, finendo per perire del suo stesso male. Mia Goth è l’eterea Elizabeth, promessa sposa del fratello di Victor, William. Un personaggio puro e innocente, che rappresenta il Bene ed l’unica in grado di stabilire una sincera connessione con la Creatura di Frankenstein. Del Toro si affida al richiestissimo Jacob Elordi per donare vita al “mostro”; la Creatura è un esperimento scientifico che nasce con tutte le buone intenzioni, ma non è ancora in grado di discernere il bene dal male.
Come Frankenstein fece a suo tempo, anche Guillermo Del Toro riflette sul concetto stesso di mostro e sul suo significato. “Nel cercare la vita, ho creato la morte” afferma Victor in un momento cruciale del film. Ma chi è davvero il mostro? Il padrone o la sua creatura? Nel dualismo e nel gioco dei ruoli, Del Toro ricalca la tematica del romanzo e ci mostra come l’essere umano è il vero cattivo della storia: il mostro nasce buono, ma è costretto ad assimilare tutti sentimenti negativi nel momento in cui è a contatto con la vera natura umana. Così cresce in lui il disprezzo verso gli uomini e soprattutto verso Victor. Non a caso, la Shelly si rifaceva al Paradiso Perduto di Milton (citato anche nel film), in cui Adamo si rivolge al suo creatore dicendogli di non aver chiesto di venire al mondo. Frankenstein si crede Dio, sfida le leggi della natura, e pertanto la Creatura lo ritiene responsabile della sua vita.
Frankenstein: valutazione e conclusione

Nonostante qualche libertà artistica, Guillermo Del Toro non abbandona la sua poetica sui “mostri” e realizza un adattamento più romantico che pone le stesse domande esistenziali del romanzo originale. Lo stile del regista Premio Oscar rimane inconfondibile: la fotografia e la messa in scena sono poetiche e visionarie, a metà tra l’horror e la favola (ma senza il lieto fine). Oscar Isaac è un Victor maledetto e convincente, Mia Goth non è solo una controparte femminile ma assume un ruolo ben preciso all’interno della storia.