Roma FF17 – Foudre: recensione del film di Carmen Jaquier
La pellicola, presentata alla Festa del Cinema di Roma 2022 in concorso nella sezione Progressive Cinema, è potente e toccante, con un messaggio intenso, che non riesce sempre a passare per colpa del copione.
Foudre (noto anche come Thunder) è la nuova pellicola scritta e diretta da Carmen Jaquier, alla sua seconda opera sul grande schermo dopo Heitmatland (2015) presentata al Toronto International Film Festival, al Donostia-San Sebastián International Film Festival, al Zurich Film Festival e al Busan International Film Festival dove ha ottenuto un buon riscontro di pubblico e critica. La realizzazione racconta una storia molto simbolica dove le immagini giocano un ruolo fondamentale e la sceneggiatura si lascia per la maggior parte guidare dalla forza delle tematiche presentate.
Foudre è dominato da un messaggio che arde di passione e di rivoluzione, ma questo entusiasmo si affievolisce non riuscendo sempre a trovare il modo adeguato per parlare al pubblico. La realizzazione è tra i titoli in concorso alla Festa del Cinema di Roma 2022, gareggiando nella sezione Progressive Cinema. Il lungometraggio, prodotto da Close Up Films, non ha ancora una data di uscita ufficiale nel nostro paese anche se probabilmente deve essere ancora comunicata.
Foudre: una guerra tra religione e natura
In Foudre, la giovane protagonista Elisabeth (Lilith Grasmug) abbandona momentaneamente il convento e torna dalla sua famiglia in un paesino in Svizzera dopo la morte della sorella maggiore per motivi misteriosi. Riunitasi dopo tanti anni con il padre, le sue sorelle minori e sua madre, la ragazza inizia a scoprire un modo alternativo per vivere la fede che, a quanto pare, non passa solamente attraverso le preghiere e l’isolamento, ma anche tramite il desiderio carnale e la sessualità. Una storia che piano piano si dipana allo spettatore ancorandosi ad una regia davvero straordinaria e impressionante, dove la figura umana lascia spesso lo spazio all’imponenza del paesaggio.
Riportando sul grande schermo il movimento pittorico del Romanticismo, in alcuni passaggi fondamentali della pellicola, i vari personaggi sono totalmente in balia della natura, come se fossero dei meri strumenti nelle mani della perfezione del Creato. Detto questo, questa particolare concezione del mondo, che all’interno del lungometraggio è incarnata da colori sgargianti e ben nitidi si contrappone, al contrario, all’oscurità più nera. La macchina da presa pone l’accento, in questo caso, sulla religione intesa come misticismo e conservatorismo: ne vengono infatti evocati gli aspetti più negativi della dimensione spirituale, da riti misteriosi fino ad arrivare alla totale intolleranza di un villaggio schiavo del bigottismo.
Questo importante conflitto, al centro di Foudre, passa puramente attraverso la regia che, ripetiamo, fa davvero un lavoro eccezionale, riuscendo a narrare una storia mediamente l’utilizzo delle immagini. Ci sono tanti momenti nella pellicola che si affidano alle emozioni e allo scorrere dei sentimenti senza tirare in ballo nessuna parola: d’altronde, se un’inquadratura è sufficientemente suggestiva, non c’è bisogno di alcuna didascalia o dialogo per trasmettere un messaggio. E proprio il messaggio del titolo è doloroso e lancinante: la fede diventa quindi un dono, ma anche una maledizione, in grado di avvicinarci a Dio e al tempo stesso bruciare del fuoco ardente dell’amore sopito e mai espresso.
Passando alla scrittura, il film delinea fin dall’inizio una storia fortemente simbolica e metaforica con molti elementi che rimangono volutamente criptici e che devono essere interpretati dal pubblico. In generale il copione caratterizza in modo decisamente funzionale tutte le figure secondarie della trama, dai genitori della protagonista, alle sue sorelle, dagli abitanti del villaggio fino ad arrivare agli amanti di Elisabeth. La giovane, a livello psicologico e caratteriale viene esplorata intelligentemente, mostrando progressivamente la trasformazione della sua personalità che avviene in concomitanza della lettura del diario della sorella, che rivela aspetti fondamentali che hanno poi portato alla sua scomparsa.
Foudre: il potere delle emozioni, il cortocircuito della scrittura
Ecco che quindi, a livello narrativo, in Foudre viene sviluppato parallelamente un tema mistery che, nonostante sia meno importante a livello contenutistico del conflitto già spiegato nel paragrafo sopra, ha comunque il suo peso specifico nella storia perché dà un motivo agli spettatori per rimanere incollati allo schermo. Detto questo, i maggiori difetti della pellicola sono proprio da ravvisare nella scrittura che purtroppo non riesce a collaborare adeguatamente con la regia. Proprio perché lo sguardo della regista è così criptico, in un progetto del genere allo script è affidato il delicato compito di fare da tramite tra pubblico e pensiero dell’autrice.
In diversi passaggi, si va a creare un cortocircuito in cui la regia continua ad andare avanti per la sua strada, proponendo nuove tematiche ed enigmi, ma la scrittura non viaggia alla stessa velocità, rimanendo per certi versi indietro rispetto a quanto mostrato con l’estetica, la fotografia e le immagini. Ciò significa che si perdono inevitabilmente dei pezzi importanti e anche se ciò probabilmente era l’intenzione iniziale di Carmen Jaquier, è comunque un peccato vero questo strano disequilibrio tra la componente narrativa e registica del film.
Bisogna inevitabilmente spendere qualche parola sul cast del lungometraggio, parlando in particolar modo dell’impressionante performance attoriale di Lilith Grasmug, un’interprete ancora molto giovane, ma che ha dimostrato di avere una maturità artistica notevole: ipnotica e seducente, la sua interpretazione esprime appieno la rottura che avviene all’interno del suo personaggio. Uno scisma profondo che si verifica quando la ragazza scopre l’esistenza delle memorie della sorella e che, come un morbo incurabile, travolge la sua vita senza abbandonarla mai.
Foudre è un progetto rivolto ad un pubblico elitario che ha già dimestichezza con il potere delle immagini che nel film rappresentano la chiave più compiuta per seguire la trama. La storia di Elisabeth (incarnata da una Lilith Grasmug strepitosa), fortemente pregna di simboli, metafore e messaggi, è retta principalmente da una regia poderosa e colossale che fa apparire l’essere umano come una briciola rispetto alla natura, mentre la sceneggiatura, per quanto si sforzi più volte, non riesce a stare al passo. La macchina da presa è travolgente, il copione troppo debole per accompagnare questo affascinante racconto dove la fede spirituale viene messa perennemente in discussione in favore della passione più ardente ed estrema.