Félicité: recensione del film di Alain Gomis

Félicité è un film di Alain Gomis, interpretato da Véro Tshanda Beya Mputu,ha vinto il Gran Premio della Giuria al Festival di Berlino, uscirà il 31 agosto.

Félicité è un film drammatico diretto da Alain Gomis, interpretato da Véro Tshanda Beya, vincitore dell’Orso d’Argento Gran Premio della Giuria al Festival di Berlino 2017, e che uscirà nelle sale italiane il 31 agosto.

Félicité è una cantante che vive in Congo, a Kinshasa, che cerca di sopravvivere esibendosi in un bar davanti ad un pubblico sparuto e spesso inerte; cresce da sola un figlio e manda avanti una casa in continua manutenzione anche facendo altri piccoli lavori. Un giorno il figlio ha un incidente stradale e avrà bisogno di cure costose, rischiando seriamente di perdere una gamba. Félicité tenterà di tutto pur di farlo assistere in un ospedale dignitoso e fargli arrivare le cure necessarie. Ma il sistema sanitario è parassitario e avido e Félicité affronterà inimmaginabili lotte intestine contro la fame, la povertà, l’inadeguatezza e la propria vita con l’ostinazione di una leonessa.

Félicité

Félicité è un film che indugia molto sui propri silenzi, sul non detto, le pose, i volti, anche il traffico e gli scorci di una bidonville di periferia, che sono protagonisti indiscussi di una pellicola che propone una tematica delicata e attuale in un paese come il Congo, in cui le donne, spesso sole, si trovano a dover fronteggiare situazioni ardue e rischiose, senza avere le risorse, i mezzi ma con il solo coraggio di non fermarsi davanti a alcun ostacolo.

(Mamma) Félicité porta nuova luce alla pellicola di Pasolini Mamma Roma, ricongiungendosi anche con Dancer in the dark, dai quali se ne distanzia completamente descrivendo un paese e una civilità non solo dal degrado e dagli stenti ma attraverso le note, il tono e le movenze singolari di una città come Kinshasa, in cui sopravvivere è un arte; la protagonista ha una fisicità imponente, magnetica che attrae e rende fin da subito più lineare l’atteggiamento combattivo e ostinato di una donna che pur di salvare il figlio le prova davvero tutte, rischiando la sua stessa vita, andando contro il suo orgoglio, la sua realtà, la sua razionalità.

Félicité

Félicité canta e si espone per il suo pubblico mai risparmiando nulla della sua persona, lasciandosi attraversare e abitare da una melodia tribale che appartiene al volgo, al popolo, alla terra, ma anche e soprattutto a chi la ascolta; lo spettatore ora vede cantare Félicité ad un pubblico di un bar, una musica ritmica e pulsante, ed ora vede un coro sollevare note lunghe e sinuose, intere partizioni d’opera che si espandono dividendo il film in ciclici atti. La pellicola è divisa in due parti che si susseguono in modo naturale, una prima parte suggestiva e trionfante una seconda onirica, spettrale e drammatica. Ciò che ne consegue è una resa espressiva molto intensa, che si svolge nei ritmi, nelle melodie e nelle pause di tante musiche differenti, in cui il cuore martellante di una nazione in declino vive attraverso una miseria carnale e furiosa.

Félicité lascia intravedere nel dramma anche il sarcasmo, una commedia umana dal sapore terroso in cui è l’ultimo, l’ultimo tassello dell’umanità ad avere l’occhio della cinepresa su di sé, di cui si parla e ci si sofferma sempre troppo poco.

Un film che riflette sui limiti umani e che tergiversa sul dramma politico e sociale, senza distanze, senza divisioni ma ritraendo in modo maestoso l’abisso di una donna che accoglie nella sua miseria lo spettatore, alla sua vita viene sottratto tutto, anche la stessa vita, un trascinamento, una negazione che si segue con ardore, anche se inizialmente appare e si disgela in modo inerziale.

Félicité

Félicité ritrae una donna che si evolve, che spinge fino ad andare contro se stessa, nel suo modo complesso e frastagliato di affrontare le difficoltà, in modo a volte metaforico, simbolico; è una pellicola di evasione, di immersione, precariato, e quell’approccio esistenziale, caduco e disarmante che è parte della vita di una donna, una donna che ha molto amato, che ha subito tanti dolori, che vive in modo totale, che sa anche raccontarsi senza spendersi troppo, ha una coscienza quasi indecifrabile che con il peggiorare della sua condizione va sempre più in dissoluzione.

Félicité è caratterizzato da riprese singolari, affreschi dell’Africa presente, attimi di vita rudimentali, intensi e che si espandono tra i primi piani e gli sguardi dei personaggi della strada che con poco dicono tutto quel che si deve sapere, dimostrando quanto può essere capovolgente una sceneggiatura composta da pochi dialoghi, da cui si espandono parole silenti che gridano il disumano, la lotta, la resistenza di una donna e di un popolo che vive la povertà come una colpa. La storia sembra ritrovarsi, ripetersi, la sua storia si ripete, come anche i giorni, ma in modo sempre più vorticoso, tutta la pellicola diventa una discesa esistenziale alla quale lei stessa non riuscirà a sfuggire.

Regia - 3
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 3
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.5