Elizabeth Harvest: recensione del film con Abbey Lee e Carla Gugino

In Elizabeth Harvest si mixano argomenti come clonazione, esperimenti illegali, eros, morte e sofferenza, uniti in un film dall'estetica impeccabile.

Barbablù di Charles Perrault rimane una delle fiabe più importanti della tradizione occidentale fin dalla sua prima comparsa, in quel lontano 1697 quando fu pubblicata nella raccolta Histoires ou contes du temps passé. 
Da quella fiaba oscura sono stati tratte innumerevoli trasposizioni cinematografiche, tra le quali vale la pena menzionare la parodia di Totò del 1950, quella di Charlie Chaplin del 1947, la versione sperimentale del 1972 e lo straordinario Lezioni di Piano del 1993.
Ora, diretto e sceneggiato da Sebastian Gutierrez arriva Elizabeth Harvest, che innesca un iter narrativo dove alla fiaba originale si mischiano elementi della fantascienza e dell’orrore.

La clonazione, esperimenti illegali, eros, morte e sofferenza sono uniti in un film dall’estetica impeccabile, dalle atmosfere presaghe di morte, tese, dove la verità e la menzogna sono confuse e rese intellegibili fino quasi alla fine.
Il cast comprende le bellissime Abbey Lee nei panni della protagonista Elizabeth e Carla Gugino in quelli della scienziata Claire, mentre l’algido e cupo Ciaràn Hinds è quell’Henry che altri non è che la personificazione della nemesi perraultiana. Matthew Beard è il figlio Oliver, Dylan Baker il detective Logan.

Elizabeth Harvest: tra fiaba, fantascienza e orrore

Il film di Gutierrez (Judass Kiss, Elektra Luxx e Hotel Noir all’attivo) parte da uno script che unisce in modo perfetto elementi del racconto originario mischiandoli ad invenzioni narrative non sempre magari felici, ma sicuramente coraggiose e innovative.
Senz’altro da sottolineare il voler unire la dinamica del controllo del maschio, della prevaricazione sessuale, esistenziale, verso una femminilità oppressa e sanguinosamente punita per la sua ricerca di identità, a quella della moderna ricerca ossessiva del bello, del giovane, della felicità come missione di vita.
L’identità dell’uomo viene qui messa sotto assedio da un racconto che ce la presenta non come creazione genuina ma come imposizione, come dittatura, che non perde nulla della matrice classista di Perrault, ma l’arricchisce con elementi propri del nostro disgraziato secolo: il materialismo, il narcisismo, la mancanza di empatia, la mania del controllo, l’estetica come religione, l’apparenza come solo contenuto.

Elizabeth Harvest: il simbolismo e la mitologia nelle immagini del film

Elizabeth Harvest Cinematographe.it

Elizabeth Harvest deve molto alla straordinaria fotografia Cale Finot, che sfrutta in modo perfetto la scenografia di Juliana Barreto e Tatiana Dulcey, nonché ai bellissimi abiti di Camila Olarte, che ci guidano in un piccolo labirinto dove dominano il bianco, l’indaco, il carminio, il vaniglia, il verde smeraldo, lo scarlatto, in una sorta di preraffaellismo dove persistente rimane la sensazione di un eros violento, innaturale, di una violenza che si nutre del sangue e della carne di giovani donne manipolate e usate dal maschio voglioso, egoista e animato da una follia ammantata da freddo narcisismo.
I corpi, le forme, si mischiano, si ammantano di una luce sempre ferale, quasi disumana, l’ombra, l’oscurità compenetra ogni spazio, ogni personaggio, tanto da comporre quasi una versione cinematografica dei quadri di Arnold Böcklin, della sua mitologia simbolica.

Elizabeth Harvest: personaggi che cambiano pur rimanendo uguali

Elizabeth Harvest Cinematographe.it

I personaggi cambiano, si evolvono, rimanendo contemporaneamente gli stessi, portando con sé una matrice esistenziale che apre la porta alla ribellione femminile, al sovvertire le regole e il concetto di happy end come frutto anch’esso della sola mano maschile.
In Elizabeth Harvest infatti il finale è l’appropriarsi da parte del mondo femminile dell’eredità del mondo, è il rivendicare la propria imperfezione sia morale che fisica, scacciando l’ideale di un’angelica apparenza che in realtà è sottomissione e mancanza di libertà alla controparte maschile che qui è sempre, comunque, negativa.
Con un cast che si muove alla perfezione, una tensione che attraversa tutto il film nonostante un ritmo solo apparentemente lento, Elizabeth Harvest sicuramente porta qualcosa se non di nuovo, se non altro di diverso anche nell’ultimamente poco felice filone del revenge movie femminile.

Non è privo di difetti, come una sonorità e musicalità di ben poco spessore, ma sopperisce con un’ottima organizzazione della linea temporale narrativa, dove i flashback non sono semplice parentesi, ma vere e proprie radiografie dell’animo umano, delle sue miserie e nobiltà.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 3.5
Sonoro - 2.5
Emozione - 3.5

3.5