Dragon Trainer (2025): recensione del film d’animazione di Dean DeBlois

Gerard Butler, Nick Frost, Nico Parker e Mason Thames sono i protagonisti del remake live action di Dragon Trainer. Regia di Dean DeBlois, già creativo della trilogia animata originale, nelle sale italiane arriva il 13 giugno 2025.

È un po’ l’emblema di come vadano le cose nel cinema commerciale, Dragon Trainer (in originale, How to Train Your Dragon). Il film, in sala in Italia il 13 giugno 2025 per Universal Pictures Italia, è diretto e prodotto da Dean DeBlois ed è la versione live action del primo film della popolare saga d’animazione firmata DreamWorks e liberamente tratta dal lavoro della scrittrice inglese Cressida Crowell (“Le eroiche disavventure di Topicco Terribilis Totanus III”, serie in dodici libri). C’è proprio tutto, e in ordine: il successo del primo film, la conseguente serializzazione con l’arrivo di ben due sequel – per la verità, la fonte letteraria incoraggiava l’esperimento – e, per finire, il passaggio di formato, dal 100% di animazione al cinema live action (quasi tutti umani, con le ovvie eccezioni). Quello che manca in originalità, il film deve compensarlo con azione credibile, sentimento, acrobazie spericolate, draghi sputafuoco e il tipico umorismo vichingo. Dragon Trainer partecipa del clima generale – come potrebbe essere altrimenti – e ha tutti i limiti dell’odierno cinema d’intrattenimento, ma li bilancia con una vitalità e una solidità di ritmo che non vanno sottaciute. Nel cast Mason Thames, Gerard Butler, Nick Frost e Nico Parker.

Dragon Trainer: storia della più inaspettata delle amicizie

Dragon Trainer; cinematographe.it

Lo sfondo è l’isola di Berk, il quando un Medioevo fittizio; non i soliti vichinghi. Navigano, razziano, depredano, incutono timore per la violenza delle incursioni e la maestria nel navigare mari in tempesta, ma c’è un dipiù: i draghi. I vichinghi di Dragon Trainer sono maschi vecchio stile, guerrafondai, grezzi nella filosofia e ruvidi nello sguardo, e in questo senso si adeguano alle nostre convenzionali conoscenze sul tema. Ma sono anche spaventati, sulla difensiva, intimoriti dalla minaccia svolazzante che non dà tregua e condiziona personalità e scelte di vita. Non è facile essere genitori (o figli) quando un esercito di draghi – diversi in stazza, specie, colore, pesantezza e piglio – può incenerire in qualsiasi momento te e tutti quelli che ami.

Stoick l’Immenso (Gerard Butler, interpreta lo stesso personaggio cui prestava la voce nella trilogia animata) è il grande capo di Berk. È il classico re vichingo tutto d’un pezzo e avvezzo alle guerresche necessità della vita. Il suo principale obiettivo è uccidere draghi per garantire la sicurezza dell’isola e, se possibile, trovare il nido-alveare e risolvere il problema alla radice. L’unità di misura del valore, su Berk, è la capacità di uccidere draghi. Vali se ne ammazzi almeno uno. Altrimenti, sei un perdente. Hiccup (Mason Thames) non sa e non vuole ucciderne. È un perdente, agli occhi degli isolani. È anche il figlio di Stoick, e questo è un grosso problema.

Il padre pretende tanto da lui, e Hiccup è preso nel mezzo tra la fedeltà a se stesso – timido, riflessivo, intelligente – e la paura di non soddisfare le aspettative generali, in particolare quelle di suo padre e di Astrid (Nico Parker), giovane guerriera tostissima – la regina ideale, la guerriera ideale – di cui è mostruosamente innamorato mentre lei non lo calcola proprio. C’è un tipo di drago che fa perdere il sonno agli isolani. È il Furia Buia: colpisce di notte, ha una potenza di fuoco notevole e nessuno sa che aspetto abbia. Hiccup ne tira giù uno per caso, fa amicizia invece di ucciderlo, gli dà nome Sdentato e intanto partecipa, ironia della sorte, al tirocinio da apprendista ammazza-draghi con Astrid e gli altri coetanei, sotto la guida di Skaracchio (Nick Frost). La morale di Dragon Trainer è: un figlio ripara il mondo dei grandi accettando la diversità e rifiutando la violenza. Draghi e umani possono convivere, se superano la paura del primo incontro. Dragon Trainer è un film sulla paura, sulla fragilità della vita (Hiccup è orfano di mamma) e sui modi di superarla. Racconta la sua storia come sa e può farlo un film commerciale, oggi: senza sottigliezze, con una certa rigidità didascalica, ma anche con vitalità e cuore.

Sguardo universale, racconto di formazione insolito, un bel mix draghi-umani

Dragon Trainer; cinematographe.it

Dean DeBlois è il regista dell’adattamento live action, il coregista del primo film animato (insieme a Chris Sanders) e l’autore in solitaria degli altri due. Firma anche lo script, di tutti e quattro, su soggetto di Cressida Cowell; è il depositario dei segreti, il garante dell’integrità dell’operazione e il deus ex-machina del franchise. Si vede, anzi si avverte, il controllo dell’autore sul materiale, a partire dallo script. Il film, già in scrittura, fa due cose per bene. Primo, gioca con la struttura. Se nella forma (e nell’apparenza) Dragon Trainer è il più classico dei racconti di formazione – come Hiccup, insieme ai suoi amici, impara a diventare adulto – nella sostanza è vero il contrario. Il ragazzo – un nervoso e autoironico Mason Thames – è, nella sua imperfezione, nella sua timidezza, nella sua intelligenza ed empatia, già più maturo di chiunque altro. Il racconto di formazione, se c’è, riguarda Berk, riguarda la comunità, gli adulti. Un adulto, in particolare, e lo interpreta Gerard Butler. Questo ci conduce alla seconda cosa fatta bene.

Lo sguardo di Dragon Trainer è largo, lucido, pronto a concedere a tutti il beneficio delle proprie ragioni. Se il film racconta che il solo modo di andare avanti, nella vita, è trovare se stessi nel rapporto con l’altro (il diverso), se mostra che la speranza è nella freschezza dei giovani che ritinteggiano il mondo violento dei grandi, non lo fa con spirito manicheo. Gli adulti – lo scorbutico con un cuore Gerard Butler, il chiassoso Nick Frost – cadono nella trappola della violenza per paura. Sbagliano, pensando di fare il meglio per i propri figli. Il film li condanna, concedendogli un’altra chance. L’approccio può essere frainteso con la scorciatoia ruffiana del film per tutta la famiglia che evita di andarci giù troppo pesante perché il botteghino ha la sua importanza, e forse è così. Ma c’è un’intelligenza di fondo, nella premessa, che non può e non deve essere sottovalutata.

Per il resto, la storia è solida, ha un ritmo incalzante e tiene per le due ore di durata, senza cedimenti. La sfida più grande, dal punto di vista tecnico, era intrecciare efficacemente digitale e live action senza far impallidire il ricordo degli originali d’animazione. Alla resa dei conti i draghi sono credibili, affermazione ridicola se presa alla lettera, ma che spiega la qualità del lavoro del team creativo. Si vola, si sale, si scende, si sfiora l’ebbrezza della vita e della morte separate da un battito d’ali (l’illusione di un volo in picchiata, più o meno a metà del film, è insolitamente realistica) in un modo davvero soddisfacente. Per cercare i difetti del film, bisogna guardare oltre. E pensare al cinema commerciale, a quello che vuole essere e a come pensa a se stesso.
 

Dragon Trainer: valutazione e conclusione

Dragon Trainer; cinematographe.it

Il balletto amoroso tra Mason Thames e Nico Carter – lui dolce e imbranato, lei che non gliene fa passare una – avrebbe potuto beneficiare della freschezza e della rapidità degli scambi della migliore commedia romantica (si può fare, anche in un film così). I silenzi padre-figlio tra il protagonista e Gerard Butler, meritavano più spazio e più tempo. Si parla anche di mascolinità tossica, del ruolo della violenza nella costruzione dell’individuo, di come la società costringa le donne a essere rivali quando non è necessario, ma sempre con timidezza. L’obiezione principale a queste considerazioni è: parliamo di cinema commerciale, qui non c’è spazio per lo spessore. Vero, ma solo in parte. Dragon Trainer è intrattenimento+azione+sentimento, ma nulla impediva al film di contrabbandare, oltre le lacrime e le risate, oltre la leggerezza imposta dalla confezione ultra commerciale, un po’ di sottigliezza in più. Veloce, solido, tecnicamente rispettabilissimo, una morale intelligente, sentimento e azione che legano, il film non fa un passo in più del necessario e si accontenta della sua efficacia. Funziona, ma avrebbe potuto funzionare di più.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 2.5
Emozione - 3

2.8