Die, My Love: recensione del film, da Cannes 2025

Il film di Lynne Ramsay, presentato in concorso alla 78ª edizione del Festival di Cannes.

Die, My Love è rumore, sudore, fastidio; alla 78ª edizione del Festival di Cannes è arrivato il nuovo film targato Lynne Ramsay, la regista già passata dal conocorso del festival più prestigioso al mondo con …e ora parliamo di Kevin nel 2011 e A Beautiful Day – You Were Never Really Here nel 2017. Stavolta, Ramsay si confronta con un testo estremo, lirico e feroce: il romanzo omonimo di Ariana Harwicz. Un’opera ostica, tutta interna, viscerata e spesso ineffabile. Per portarla tra i confini dello schermo, la regista scozzese si affida a un cast di altissimo profilo: Jennifer Lawrence, più tagliente che mai, Robert Pattinson nel difficile ruolo del marito fantasma, LaKeith Stanfield (Get Out, Judas and the Black Messiah) silente presenza perturbante, e due giganti della settima arte come Sissy Spacek (Missing – Scomparso, Crimini del cuore) e Nick Nolte nei ruoli dei genitori di lui. La produzione è firmata da Martin Scorsese, assieme ad Andrea Calderwood e alla stessa Lawrence (con la sua Excellent Cadaver). Girato tra gli inverni canadesi del 2024 e immortalato dalla fotografia analogica di Seamus McGarvey, Die, My Love è un’opera artigianale, cupa, brutale, convulsa ma, soprattutto, mai vista prima.

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Il fastidio identitario del caos

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In una casa isolata, avvolta da alberi densi e cieli eternamente plumbei, una coppia si rifugia per “iniziare una nuova vita”: lei incinta, lui dalle prospetti più rosee. Presto si conviene però quella che è la realtà, perché quello che stanno per vivere è tutto tranne che nuovo e positivamente vitale. Il film segue i due – Grace (Jennifer Lawrence) e Jackson (Robert Pattinson) – mentre sprofondano nel bucolico che si fa claustrofobico. Il bimbo nasce, ma con lui nasce anche il collasso. Lei è depressa, dissociata, imprevedibile. Il suo sguardo è fisso e opaco, la sua lingua tagliente, le sue reazioni scomposte. Lui non sa più chi ha accanto. I genitori di lui diventano comparse fondamentali, fantasmi di un affetto che non consola ma pesa, giudica, interroga. In mezzo, un misterioso motociclista che appare e sparisce, forse reale forse no. Pochi momenti di socialità si rivelano fallimentari, intrisi di disagio, d’inquietudine. Nulla è innocuo, tutto è disturbato e disturbante.

Il film è tutto lei. Tutto è assorbito e risputato dalla sua psiche instabile, dalle sue pupille sgranate. La depressione post partum è solo il punto di partenza: Grace non è solo una madre perduta, è una donna scollata da se stessa. Non si riconosce più in nessuna maschera che la società le propone: né madre, né moglie, né scrittrice. È un’identità che si disgrega nel tempo e che esplode in un caos animalesco, fatto di raptus, smorfie, crisi. La regia segue questa frantumazione con coerenza visiva e narrativa, immergendo lo spettatore in una soggettiva incerta e disturbata. Grace si fa corpo di un disagio inespresso, si muove come creatura primitiva, urla, suda, si disintegra. Non ci sono coordinate né conforto, solo l’abisso dell’inadeguatezza e il rifiuto violento di una domesticità che sa di trappola.

Die, My Love: valutazione e conclusione

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Die, My Love è un film perfetto nella sua imperfezione. Diretto con mano solida, fotografato con eleganza disturbante e sonorizzato con intelligenza ipnotica, restituisce l’inquietudine come stato d’animo onnipresente. Il montaggio, a tratti fratturato e scomposto, è lo specchio perfetto di una protagonista che non sa più orientarsi, nemmeno dentro sé stessa. La luce blu che colora le inquadrature è quella della sua depressione: fredda, ineludibile. La sceneggiatura osa, non spiega e non rassicura ma si affida all’istinto. Ramsay dimostra ancora una volta che l’originalità è una forma di resistenza, e Cannes continua a essere il suo tempio, il perfetto sfondo per la celebrazione del nuovo, dell’inaspettato. E poi c’è lei: Jennifer Lawrence. Rabbiosa, imprevedibile, vulnerabile, carnale, animalesca. Una performance di forza e fragilità, di grazia e disordine. Un ritorno potentissimo che spazza via ogni dubbio: Lawrence non solo è tornata, ma lo ha fatto con uno dei suoi ritratti più memorabili, che ci si augura verrà omaggiato con i migliori riconoscimenti.

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Regia - 4
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 4
Recitazione - 4.5
Sonoro - 4.5
Emozione - 3.5

4