Diabolik: recensione del film dei Manetti Bros.

Un film ambiguo, che subisce il fascino di Diabolik (il fumetto da cui è tratto), incantandoci con lo charme dei suoi interpreti d'eccezione e dei tecnicismi a cui ricorre.

Diabolik, oltre a essere “un uomo dalle capacità straordinarie”, è un film per cui servono doti particolari al fine di approcciarsi adeguatamente alla sua visione. Partorito dalla mente delle sorelle Giussani nel lontano 1962, il Re del Terrore torna alla ribalta grazie ai Manetti Bros., che con audacia sono riusciti a convincere Mario Gomboli, il direttore della casa editrice Astorina, focalizzandosi sull’idea di confezionare “il film di Diabolik” (e non “su Diabolik”). Un dettaglio che è riuscito a squarciare la coltre di possibilità fallite negli anni e avanzate da vari registi, portando adagio al compimento di una pellicola che si fregia di un cast italiano altisonante e di un comparto tecnico ineccepibile.

Gli occhi azzurri di Luca Marinelli, esaltati dal contrasto con la maschera nera che gli copre il volto, creano il primo e assoluto campo magnetico della pellicola: una scintilla nella notte la cui corsa non si arresta di fronte a nulla. La narrazione cinematografica di Diabolik inizia in medias res, posizionando sul grande schermo gli attori principali della vicenda, maschere di un fumetto più o meno noto ai più, che ci si sforza inconsapevolmente di allocare in un posto remoto della memoria. La macchina da presa, poi, fa quel che deve: ci spinge in questa corsa sfrenata nel cuore della notte, alza al massimo il volume dell’iconico brano composto da Manuel Agnelli e pone lì, sul ciglio di una strada illuminata dalla luna, l’urlo violento di Diabolik.

Diabolik: dal fumetto delle sorelle Giussani al film dei Manetti Bros.

Diabolik, cinematographe.it

I Manetti Bros. ci dirottano nella loro visione del fumetto con pedanterìa, facendo emergere la dualità del Re del Terrore, la sua freddezza nello sferrare i colpi, la determinazione, l’ingegno dietro ogni furto. E lo fanno con un ritmo da noir, un’andatura che mal si adagia a quella a cui il mondo odierno ci costringe; un modus operandi che ben si sposa a quella atmosfera degli anni ’60, alle strade solitarie di Clerville e allo sfarzo di una certa società. Questo Diabolik serve sul piatto d’argento una storia che dovrebbe e potrebbe essere più travagliata e invece risulta a tratti troppo lineare, banale. Sotto la coltre di citazioni ed esercizi di stile avanza l’ombra di un passato che ritorna e che in questo contesto sembra stare stretto. Ma se provassimo ad ampliare noi la nostra prospettiva? Se tentassimo di fare un passo indietro, di infilarci in quella tuta, quelle leggi, quei ragionamenti? Ecco che Diabolik dei Manetti Bros. appare, in tal misura, giusto, seppur segnato da qualche défaillance nella sceneggiatura.

A proposito di quest’ultima e considerando l’immensità dell’opera fumettistica, è lecito domandarsi come e perché i registi, appoggiati nella stesura della sceneggiatura da Michelangelo La Neve, abbiamo scelto di portare al cinema certi episodi di Diabolik piuttosto che altri. L’opera su cui si basa il film è L’arresto di Diabolik, pubblicato nel 1963 con i disegni di Luigi Marchesi (oltre al remake del 2012 di Mario Gomboli, Tito Faraci e Giuseppe Palumbo), una pietra angolare nel percorso narrativo del noto personaggio, poiché tra queste pagine avviene il fatidico incontro con Eva Kant, una lady bellissima, elegante e scaltra, a cui Miriam Leone offre tutta sé stessa, in una catarsi platonica in cui le fattezze fumettistiche della donna ideata dalle Giussani come partner ideale di Diabolik aderiscono completamente alla sua figura e al suo intelletto. La Leone sa monopolizzare l’attenzione, trasformandosi repentinamente in ciò che Eva è ed è sempre stata; non la metà di un uomo, bensì un universo immenso, incredibile, affascinante; una donna dal passato tormentato che non teme il Male ma che anzi ne resta incantata, non per andare dietro a uno stereotipo d’indipendenza, piuttosto per concretizzare la sua vera natura.

Miriam Leone dona tutta se stessa a Eva Kant, partner inimitabile del Diabolik di Luca Marinelli

Diabolik, cinematographe.it

Miriam Leone aderisce sia nelle fattezze che nello spirito alla sua maschera di Eva Kant, dandoci modo di elogiare l’accortezza con cui Marco e Antonio Manetti si sono piegati alla dicotomia del fumetto, rispettandone altresì le caratteristiche del Diabolik di Luca Marinelli il quale, pur risultando esteticamente forzato nel vestire i panni del Re del Terrore, conferma di avere le abilità necessarie a trasudarne la misteriosità e la negatività spietata. Lui è il cattivo per eccellenza, non fa sconti a nessuno, nemmeno all’amore. La sua storica fidanzata, Elisabeth (Serena Rossi), appare sul grande schermo come un burattino alle sue dipendenze, una pedina tra le tante, nonché – agli occhi dello spettatore – la risultante di una concezione di donna annichilita dall’amore e dal suo ruolo nella società.

Alla luce del rapporto tra Diabolik e le sue donne, quest’opera potrebbe leggersi non solo come la storia di uno dei criminali più acclamati della storia fumettistica italiana, ma anche come una delle storie d’amore più liberali, quella tra un uomo e una donna che si vedono e si riconoscono come simili, senza subordinazioni. In questo – e col pensiero a quegli anni – Diabolik sa a suo modo essere rivoluzionario e sempre attuale.

La magnifica colonna sonora di Pivio e Aldo De Scalzi, arricchita dai brani di Manuel Agnelli

E se alle volte lo stile dei Manetti sembra perdersi tra i riferimenti di un certo tipo di cinema, possiamo dire che tutto sommato è un tasto che non stona, al pari dell’estetica anni ’60 fatta di capigliature impomatate e apparizioni iconiche (come la mitica Jaguar E-Type) e corredata dalla fotografia fumettistica e definita di Francesca Amitrano e da un comparto musicale che da solo basta ad alimentare la tensione.
La colonna sonora di Diabolik, composta da Aldo De Scalzi e Pivio e corredata da due singoli inediti di Manuel Agnelli, sorregge tutto il peso psicologico del protagonista, tracciandone la sua evoluzione all’interno della storia e lasciando trasudare vittoria, frustrazione e liberazione nella combinazione impeccabile di sette note.

Ritornando a parlare del cast artistico non si può non menzionare l’ispettore Ginko di Valerio Mastandrea, nemesi del protagonista che però sembra talvolta mancare di quella verve che gli si addirebbe, come se volesse in fondo demolirsi egli stesso e fare in modo che il suo nemico viva ancora a lungo, come se comprendesse in cui suo le oscure ragioni che alimentano Diabolik. A lui si aggiungono chiaramente altri interpreti, maschere stereotipate e di contorno la cui tridimensionalità si annulla (parliamo del Giorgio Caron interpretato da Alessandro Roia, per esempio) per consentire ai tre caratteri principali di svettare e dominare su tutti gli altri.

Avviandoci verso la conclusione, possiamo dire che Diabolik è un film ambiguo. Riuscito se inserito in quel corridoio che lega i Manetti Bros., oltre che al rispetto per l’opera delle sorelle Giussani, a una certa idea di cinema che guarda al nostro passato sbirciando i grandi classici e tentando di fare passi verso il futuro. Se però questo Diabolik vuole essere la continuazione di ciò che vuole apparire, ovvero un mero prodotto d’intrattenimento simile ai cinecomic Marvel e DC, allora non possiamo che definirlo un fallimento. Perché non siamo negli USA, non siamo nel futuro, non ci sono uomini in grado di volare e salvare il mondo; la Clerville di Diabolik è un microcosmo antico e definito, un mondo controllabile che si piega al volere di un singolo il quale agisce non per altruismo ma solo per sfamare la sua stessa natura.

Alla luce di tali premesse Diabolik forse è un film che non soddisferà tutti ma che merita la visione da parte di ogni individuo che si dice amante della settima arte, poiché se c’è una cosa che i Manetti Bros. hanno continuato a fare attraverso quest’ultimo film è credere a un’idea di cinema italiano differente, magari mal sostenuta in alcuni punti, ma apprezzabile e meritevole almeno di un’altra possibilità.

Prodotto da Mompracem con Rai Cinema, da Carlo Macchitella e Manetti bros., in associazione con Astorina e con Luigi de Vecchi, con il sostegno di Emilia – Romagna Film Commission, Friuli Venezia Giulia Film Commission, Film Commission Vallée D’Aoste, Diabolik è al cinema dal 16 dicembre 2021 con 01 Distribution.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 5
Emozione - 3.5

3.8