Venezia 75 – Deva: recensione del film ungherese di Petra Szöcs

Deva vaga per circa un'ora e venti nella totale ambiguità, senza riuscire a capire quale sia il reale intento della regista.

Lontano dagli schiamazzi da red carpet, in un’oasi quasi appartata della 75ª Mostra del Cinema di Venezia, viene offerto ampio spazio, fortunatamente, a pellicole indipendenti a più basso budget, nell’ambito della Biennale College. Diretto e scritto dalla regista rumena Petra Szöcs, Deva è un dramma che racconta il difficile e tormentato passaggio dall’età pre-adolescenziale alla fase adulta.

Kato è una giovane ragazza che vive in orfanotrofio dopo essere stata abbandonata dalla madre. Un giorno, la sua routine quotidiana viene completamente stravolta da un incidente domestico, prendendo la scossa mentre si asciuga i capelli. Da quel momento in poi Kato guarda con occhi diversi tutto ciò che la circonda, a partire dal luogo in cui ha vissuto fino a quel momento, fino ad arrivare all’incontro con nuove conoscenze, come per esempio la nuova educatrice Bogi, di cui la ragazzina si infatua.

Deva si costruisce su inconcludenti inquadrature atte a far brillare Kato sull’opacità che la circonda

Deva Cinematographe

Probabilmente ideato all’inizio come un cortometraggio, Petra Szöcs decide di ingaggiare  una giovane ragazza albina, Csengelle Nagy, dotata anche di strabismo, per interpretare la silenziosa e problematica protagonista del film, Kato. Proprio per il suo particolare sguardo, la macchina da presa indugia ossessivamente sui suoi occhi glaciali, capaci di muoversi autonomamente, quasi come fosse alla ricerca di un qualcosa di non detto. I continui primi piani sugli occhi di Kato sembrano voler far credere allo spettatore che, entro la fine del film, possa esserci una sorta di rivelazione/epifania, che invece non avverrà mai.

La vicenda narrata nella pellicola deriva da un fatto autobiografico della stessa regista, la quale una decina di anni fa conobbe una bambina albina, come Kato, che viveva in un orfanotrofio di Deva. La Szöcs andò più volte a trovare la bimba, decidendo di farne un film e girarlo proprio nella casa in cui la incontrò la prima volta.

La regista tenta, invano, di illustrare ed esaminare in modo innovativo le difficoltà vissute da una semplice ragazza nel crescere senza la figura materna; una ragazza già vittima di offese e atti di bullismo per il suo albinismo. Come in tanti altri film che in questi giorni vengono presentati a Venezia 75, anche Deva rientra tra quelli che possono essere definiti film di formazione. Tuttavia, sfortunatamente, la pellicola della Szöcs vaga per circa un’ora e venti nella totale ambiguità, senza riuscire a capire quale sia il reale intento della regista.

Deva: Petra Szöcs fallisce nel tentativo di raccontare il passaggio di Kato nella fase adulta

Deva Cinematographe

Valide argomentazioni vengono accennate, senza però essere esplorate adeguatamente. L’idea iniziale non è affatto sbagliata o sconclusionata, ma il problema deriva in particolar modo da una mancata gestione adeguata dei contenuti e dei ritmi della pellicola. Le inquadrature, talvolta, sono create su tempi fortemente dilatati; tempi che sembrano ancora più lunghi della loro effettiva durata a causa di silenzi ingombranti e una notevole assenza di dialoghi.

Divagazioni senza alcun senso, e inutili all’obiettivo che sembrava essersi posta la regista con questo film, continuano a essere perpetrate su personaggi secondari, presentati sul grande schermo senza un contesto di riferimento, come se fossero semplici silhouette incollate su un paesaggio dai colori freddi e ostili.

Regia - 1.5
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 2
Recitazione - 2
Sonoro - 1.5
Emozione - 1

1.6