Detective Marlowe: recensione del film con Liam Neeson

Il ventesimo film di Neal Jordan affronta un'icona del cinema noir.

Per il suo ventesimo film il regista Neil Jordan decide di affrontare la figura del detective Philip Marlowe e offre al pubblico Detective Marlowe, disponibile su Sky Cinema e Now dal 28 agosto 2023.

Detective Marlowe Cinematographe.it

La vicenda narrata da Jordan vede Marlowe (Liam Neeson alla sua centesima interpretazione) come una sorta di detective gentiluomo, ingaggiato dall’ereditiera Diane Cavendish (Diane Kruger), per scoprire che fine abbia fatto tale Nico Peterson, suo amante e assistente/trovarobe sui set hollywoodiani, dato per morto. Durante le indagini Marlowe scoprirà che il mondo del cinema è meno pulito di come vuole apparire e che l’innocenza spesso non si trova dove la si cerca.

Detective Marlowe: un’icona del 900

Marlowe è una figura centrale dell’immaginario culturale novecentesco, in quanto incarna l’archetipo del detective nella letteratura e nel cinema noir. Creato da Raymond Chandler con il romanzo Il grande sonno nel 1939, ben presto sbarcò al cinema con le sembianze di Dick Powell in L’ombra del passato (Dmytryk, 1944). Fu però con l’interpretazione che ne diede Humphrey Bogart ne l’adattamento de Il grande sonno diretto da Howard Hawks, nel 1946, che Marlowe entrò nell’immaginario collettivo, insieme al suo trench, al cappello fedora, all’alcol e alle sigarette.

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Il valore del personaggio consiste nel suo essere una reinterpretazione pulp del mito del cavaliere della Tavola Rotonda. Laddove gli eroi del ciclo arturiano, secondo una certa tradizione interpretativa, rappresentano in primo luogo l’anelito umano alla conoscenza della verità ultima dell’esistenza, che risiede nel Divino (il Sacro Graal), il detective di Chandler rappresenta la ricerca della verità dell’animo umano. Le indagini di Marlowe sono volte solo apparentemente a ricostruire una verità fattuale, che spieghi il mondo. In realtà attraverso la decodifica dei meccanismi del funzionamento della società metropolitana, Marlowe mira sempre a far emergere le motivazioni umane dietro i gesti delle persone sulle quali indaga. Il detective di Chandler si muove perciò in tutti gli ambienti, da quelli raffinati e borghesi, fino alle strade delle metropoli, popolate da ogni genere di emarginato sociale, così da poter osservare la natura umana in tutte le proprie manifestazioni, rintracciarne gli elementi fondanti e restituire al lettore un’immagine credibile dell’uomo. Lo sguardo di Marlowe è in parte una reificazione simbolica dello sguardo del cinema, capace di inabissarsi nei differenti tipi di realtà, che rappresentano altrettante sfaccettature dell’animo umano. La giustizia che offre Marlowe è sia quella materiale, sia quella di una rappresentazione, scevra dei pregiudizi socioeconomici e di classe, della natura umana. Questa equazione fra lo sguardo del detective e sguardo del cinema, è stata magistralmente restituita da pellicole come il già citato Il grande sonno o lo splendido Il lungo addio (Altman, 1973).

Un gioco nostalgico fra Chandler e Christie

Detective Marlowe di Jordan, purtroppo, non si può annoverare fra le opere che seguono una simile traiettoria interpretativa. Il film non è basato su un lavoro di Chandler, ma sul romanzo La bionda dagli occhi neri: Un’indagine di Philip Marlowe di John Banville. La storia è dunque un giochetto nostalgico che ricostruisce una trama da giallo d’antan, non tanto nello stile secco e hard boiled che ci si aspetterebbe da un simile lavoro. Piuttosto segue la tendenza di moderne reinterpretazioni del giallo alla Agatha Christie, come Cena con delitto – Knives Out (Johnson, 2019). Quello che colpisce della messa in scena è proprio la struttura narrativa debitrice di simili lavori, che vede per lo più il protagonista intento a interloquire in maniera garbata ma sarcastica con vari esponenti del jet set della Los Angeles dei bei tempi. Le sequenze action ci sono e anche una moderata dose di violenza, ma è tutto girato con un manierismo stanco. Non vi è mordente, né tantomeno un reale approfondimento delle psicologie dei personaggi.

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Gli ambienti sono tutti troppo puliti e la fotografia patinata non restituisce per niente le tensioni drammatiche dei contrasti luministici tipici del noir. In definitiva l’unica realtà rappresentata è la ricostruzione mitizzata della Los Angels dell’epoca d’oro di Hollywood. Una realtà costruita su stilemi filmici e personaggi tipizzati, da cui è escluso ogni afflato realista. Marlowe stesso viene caratterizzato come un versione d’epoca della maschera dell’uomo d’azione “ormai troppo vecchio per queste cose”, seguendo un cliché dell’action più caciarone degli anni ottanta, che male si adatta alla statura dell’eroe chandleriano. La critica al sistema industriale cui sottosta la produzione filmica risulta molto debole e poco pregnante, in quanto serve solo per fornire un contesto all’azione, ma non ne informa i contenuti. Il conflitto fra la Cavendish e sua madre, una star sul viale del tramonto, interpretata da Jessica Lange, ha, anch’esso, un sapore stantio.

Detective Marlowe: conclusione e valutazione

L’intera vicenda crime regge, non presenta buchi di trama ed è infarcita di citazioni – soprattutto metaletterarie sul valore simbolico di Marlowe – eppure questo non basta a rendere avvincente il film di Jordan. Lo sguardo di Marlowe sul mondo qui è uno sguardo saccente e un po’ moralista e non certo quello disilluso ma idealista del personaggio chandleriano. Esso così come lo sguardo della macchina da presa appare in definitiva stanco e ripetitivo, nella sua ostinazione a filmare in maniera convenzionale – campi/controcampi, soggettive di momenti lisergici, scontri ben coreografati ma poco credibili – scene viste mille volte in mille altri film. Inoltre l’ambientazione storica, il richiamo nostalgico, il tema dell’industria del cinema sono elementi che ancora di più allontanano il film da una qualsiasi rilevanza sociale, elemento che invece fece la fortuna dei romanzi con protagonista il detective.
Dopo l’ulteriore rilettura del mito vampirico in Byzantium (2012) e l’interessante apologo hitchcockiano sull’ossessione, Greta (2012), è un peccato che Jordan sia inciampato proprio su uno dei più affascinanti archetipi del cinema.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 2.5
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

2.7