Dead man’s wire: recensione del film di Gus Van Sant, da Venezia 82

Gus Van Sant dirige alcuni dei più noti e amati attori del cinema e del mondo di Hollywood: Bill Skarsgård, Dacre Montgomery, Colman Domingo, Al Pacino, Cary Elwes Myha’la compongono il cast di Dead man’s wire, presentato Fuori Concorso all’82ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Il film racconta la vicenda avvenuta ad Indianapolis nella seconda metà degli anni ’70 quando Anthony Kiritsis, onesto cittadino che a pochi giorni dalla firma che lo avrebbe visto realizzare il proprio obiettivo, vede gli investitori fare marcia indietro. Kiristis aveva acquistato un terreno per costruirvi un centro commerciale e aveva trovato varie persone interessate ad investire nel progetto. Ma improvvisamente nessuno sembra pronto ad investire e Tony si convince che sia opera degli intermediari, in particolare del capo della Meridian Mortgage Company, M. L. Hall che aveva dissuaso i potenziali investitori per impadronirsi di un terreno sul quale era meglio mettere mano. Non potendo pagare i 130.000 dollari di mutuo e vedendo il suo sogno svanire, Kiristis compie un gesto estremo e disperato.

Dead man’s wire e la sua traduzione letterale

Dead man's wire - cinematographe.it

Era l’8 febbraio del 1977 quando Tony Kiritsis entrò nella Meridian Mortgage Company con un intento ben preciso, ed è così che inizia Dead man’s wire. O meglio, vediamo Tony, un bizzarro, singolare, impaziente ed esemplare Bill Skarsgård nel ruolo, ascoltare la calda, avvolgente e morbida voce di Fred Temple. Tempre è un conduttore radiofonico afroamericano interpretato da uno straordinario Colman Domingo che avrà un’importanza unica, fondamentale, nelle trattative per il rilascio di Richard O. Hall. Tony è quindi in macchina, sotto le parole di “the voice of Indianapolis” e si avvia verso quell’edifico che gli ha rovinato la vita. Lo scopo è rapire Hall senior, ma al momento non è lì. A Tony non resta quindi che rapire il figlio, Richard, ex socio in affari, e lo fa legandogli al collo un cavo teso, collegato al grilletto di un fucile a canne mozze che tiene in mano. Ecco il titolo Dead man’s wire.

L’impossibilità di toccare, fermare, arrestare Kiritsis e salvare quindi, liberandolo. Richard O. Hall è la vera trovata “geniale” del film. Non un’idea partorita dalla mente di Gus Van Sant, essendo un fatto realmente accaduto. Ma il merito sta nella volontà di riprendere fedelmente le immagini che hanno visto poliziotti trovarsi di fronte a un sequestratore e rimanere immobili, sapendo di non poter fare nulla o Richard sarebbe morto. Orde di forze dell’ordine che lo seguono, con l’arma riposta nella fondina, sapendo che possono solo tenerlo d’occhio, qualsiasi movimento è un rischio: lo stratagemma del cavo rende Tony intoccabile. Gus Van Sant riesce comunque a conferire la sua impronta inconfondibile al film, raccontando di personaggi che hanno smarrito tutto, compreso se stessi, nel tentativo vivere quanto più dignitosamente gli veniva concesso. La tensione è per ultimo punto quella delle sorti di Richard, perché il racconto di Tony è quanto di più ingiusto e feroce gli sia accaduto quando si è fidato delle persone sbagliate.

Giusto o sbagliato, per qualcuno è la decisione presa nel momento in cui non ci sono più alternative

Dead man's wire

Per quanto irragionevole e assurda sia la spedizione punitiva contro la Meridian Mortgage Company, intrapresa da un uomo demolito e annientato dalla speranza riposta in chi sembrava non accettare la riuscita dell’uomo comune, altrettanto paradossale, ma più tristemente inaccettabile, è la personalità del padre di Richard Hall, un eccelso Al Pacino che rifiuta di scusarsi con l’uomo che ha un fucile puntato alla nuca del figlio. Il suo orgoglio, l’egemonia dell’azienda e la logica degli affari vengono prima di una vita che può essere salvata. Dead man’s wire ha delle tematiche profonde, ma preferisce forse il genere della black comedy, per non cedere nella retorica. L’asprezza e lo sconforto alla base della vicenda, che ha comunque del comico, sono talmente evidenti e palesi che l’approccio più umorismo, dove si tratta comunque di black humor, rende il film una piccola sorpresa. Un effetto che quando si racconta un evento così noto non è facile raggiungere.

Dead man’s wire: valutazione e conclusione

Dead man's wire

Dead man’s wire è una ricostruzione precisa e ineccepibile del Midwest di fine anni ’70, tutto è al proprio posto nel ricalcare un’epoca. Un’accuratezza storica che colpisce sin da subito. Che si ritrova non solo in ciò che mostra, ma anche in quell’atmosfera cinematografica dei movimenti di macchina. Ironico e tagliente, il film di Gus Van Sant finisce per parlare di sentimenti, di rapporti ai limiti non tanto della coerenza, ma proprio del senso stesso di relazione interpersonale. Come quello che si instaura tra Tony e Richard, dove ci sono guizzi di affetto, attenzione, incomprensioni e piccole sfide iniziali, in un legame partito col piede sbagliato. Ma a dare al film quel qualcosa in più è l’umanità che si legge nell’interiorità di Tony, che non è assolutamente un villain sequestratore. E anche di Richard, vittima forse del mondo del padre e dell’azienda, e non carnefice che lucra sui disagi altrui. Innalzato ed elevato da interpretazioni che lasciano senza fiato, prima fra tutti quella di Colman Domingo, Dean man’s wire è un film da gustare con piacere, che tra qualche sorriso e qualche graffiante riflesso di realtà, accenna che la giustizia, in fin dei conti, non è solo un’illusione.

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Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 3

3.4