Dampyr: recensione del film diretto da Riccardo Chemello

Dampyr, regia di Riccardo Chemello, mette in scena la storia di un eroe imprevisto, metà uomo e metà creatura della notte. Fuori scena, il primo tassello del Bonelli Cinematic Universe. Dal 28 ottobre 2022 in sala.

Dampyr, regia di Riccardo Chemello e in sala in Italia dal 28 ottobre 2022 con la prima al Lucca Comics & Games, è il primo mattoncino di un grosso muro di mattoni che si chiama, si chiamerà, Universo Cinematografico Bonelli o Bonelli Cinematic Universe. È un momento importante per il cinema e la serialità italiana, sarebbe più corretto estendere la riflessione al comparto audiovisivo preso un po’ nel suo insieme. A imitazione del modello americano, nel rispetto di specificità produttive e particolarità culturali italiane, italianissime, si tratta di raccontare per immagini, in movimento, ciò che finora è stato raccontato per immagini, magari un po’ più statiche ma sempre pregevoli. La materia prima è quanto di meglio ha da offrirci l’imponente archivio fumettistico della Sergio Bonelli Editore. Quella di Tex Willer e Dylan Dog, per intenderci.

Dampyr, prodotto da Eagles Pictures, Brandon Box e Bonelli Entertainment, ha per protagonisti Wade Briggs, Frida Gustavsson, Stuart Martin, David Morrissey e tanti altri. Il fumetto, di taglio horror /fantasy, relativamente recente, si parla del 2000, è creato da Mauro Boselli e Maurizio Colombo, cui si aggiungono a sceneggiare per il cinema Giovanni Masi, Alberto Ostini e Mauro Uzzeo. Non il più famoso tra i gioielli della corona Bonelli ma con un notevole potenziale di spettacolarità e forse è proprio la combinazione dei due elementi che gli garantisce il posto in prima fila. Fa da apripista a un percorso che metterà insieme la sala e il divano, l’esperienza tradizionale e l’ultima novità, il live action e l’animazione. Il privilegio di aprire la strada per chi verrà dopo non deve farci dimenticare che la storia offre abbastanza spunti per stare in piedi sulle sue gambe.

Dampyr: storia di un eroe suo malgrado

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Di Dampyr va detto per cominciare che sceglie la via ibrida. L’incontro/scontro tra specie opposte e forme non pienamente conciliate è una chiave di lettura dell’operazione, a più livelli. Sul piano degli ambienti oppone dilatazione fantastica a sfondo storico. Da una parte c’è il mondo reale fangoso e senza misericordia dei Balcani in guerra negli anni ’90. Dall’altro, l’irrealtà di un incubo al di là dell’ordinario. Si comincia con la sporca guerra di Emil Kurjack (Stuart Martin) che combattendo ha perso tutto; gli rimane soltanto una malconcia ma provvidenziale bussola morale. Con i suoi uomini ha il compito di tenere il piccolo villaggio di Yorvolak, una bella gatta da pelare perché il nemico che lo assedia ha ben poco di umano. Per risolvere la questione Kurjack “contatta” Harlan Draka (Wade Briggs), un tipo simpatico e parecchio avvinazzato che di professione fa il Dampyr, cioè il cacciatore di vampiri.

Si scrive Dampyr, ma nella cinica visione del mondo di Harlan si legge truffa. Non bastano gli strani incubi che gli agitano il sonno e che pure dovrebbero metterlo sulla strada giusta e fargli riconsiderare un po’ le cose. No, lui è convinto di essere niente di più che un imbonitore da fiera, moralmente inadeguato, che fronteggia il malessere attaccandosi alla bottiglia. Va in giro con Yuri (Sebastian Croft) che gli fa da manager e involontariamente finisce per alimentargli la sindrome dell’impostore. Anche lui non sa, non capisce, di trovarsi sul ciglio di un abisso particolare che chiamerà in causa abilità speciali e nervi saldi. L’ironia sommessa di Dampyr è che il più improbabile e truffaldino degli eroi, in realtà è quello che ci sa fare più di tutti.

Harlan Draka è ciò che non crede di essere. Un’esplosione di possibilità nate dall’unione tra una donna umana e un Maestro della Notte, Draka (Luke Roberts). Così nasce il più formidabile e imprevisto cacciatore di vampiri. Gli servirà un po’ di tempo per fare i conti con la realtà e affinare il mestiere. Il nemico da battere è un collega di papà, anche lui Maestro della Notte, di nome Gorka (David Morrissey), che telecomanda a distanza la bella, letale e tormentata Tesla (Frida Gustavsson), anima perduta in cerca di un po’ di controllo sulle cose. Harlan, Kurjack e Tesla da una parte, scoperta di sé e la necessità di fare i conti con la propria identità. Gorka e scagnozzi dall’altra, ottusa crudeltà ma a suo modo convincente. Fuoco alle polveri.   

Cinema italiano ma che sappia guardare lontano: questa la sfida

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È più facile per la Marvel, che alle spalle ha tutto quello che serve, potenza di fuoco (economica), riconoscibilità immediata, una cultura di riferimento che non ha bisogno di scendere a compromessi con i mercati e i pubblici che intende colonizzare. Tutto ciò che non è americano, si americanizza. Per Dampyr è diverso. L’archivio Bonelli non ha problemi di qualità e non mostra insicurezze in fatto di appeal, ma se un film italiano tratto dal genere più consumato dagli spettatori di tutto il mondo trova il coraggio a) di costruire il proprio universo seriale di riferimento e b) di realizzarlo anche e soprattutto facendo capolino oltre i confini nazionali, lo può fare solo e soltanto venendo a patti con la realtà. Come fa Dampyr a sostenere il peso della sfida?

Cercando l’ovvia mediazione, mestieranze italiane e facce straniere. Si avverte questo senso di straniamento, un cosmopolitismo dentro e fuori scena che è stato un tratto essenziale del nostro cinema nei suoi periodi migliori, non solo guardando al recinto del genere. Riccardo Chemello, che è giovane ed esordiente, gioca sul crinale del mix di generi e riesce a far comunicare in maniera adeguata horror e sfumatura fantasy. Sposa la narrazione alla storia, quella vera, per tratteggiare un racconto di formazione sui generis e forse fuori tempo massimo. Famiglia, accettazione del sé e identità, sono temi (im)portanti e centrali nel discorso del film.

Che ovviamente ha i suoi difetti, specialmente quando si tratta di legare l’unicità della storia al campo largo del racconto seriale. Dampyr, almeno a livello delle intenzioni, vuole essere il primo capitolo di una storia posata su molti capitoli e in particolare sul finale il ritmo sbanda e l’impressione è che si acceleri più del necessario. Ma l’azione ha un respiro e una credibilità internazionale e c’è un buon feeling tra gli interpreti principali; solo si vorrebbe un po’ più di David Morrissey, che porta in dote al film un pedigree televisivo importante e si vorrebbe vederlo utilizzato un po’ di più. Non si può non concludere ricordando come il film porti sulle spalle una pressione enorme, l’incombenza di parlare per sé e contemporaneamente, di striscio, quasi senza volerlo, accennare a tutto il resto. Nel complesso, senza testacoda di originalità, tiene.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 2.5
Emozione - 2.5

2.6