Berlinale 2019 – Dafne: recensione del film di Federico Bondi

Alla Berlinale 2019 Federico Bondi ha presentato il suo Dafne, con protagonista Carolina Raspanti, attrice affetta da sindrome di Down. Ecco la recensione

Dafne ha 35 anni, ha un carattere solare, giocoso e socievole, i suoi capelli sono tinti da meches rosso ciliegia ed è affetta dalla sindrome di Down. La sua vita è serena: ha un buon lavoro, due genitori amorevoli e tutti, attorno a lei, non possono fare altro che adorarla. Tutto prende una svolta inaspettata quando sua madre, Maria, muore improvvisamente a causa di un malore. Dafne rimane con suo padre, un uomo anziano abituato a fare affidamento sulla moglie per qualunque cosa e tocca a lei prendere in mano la situazione.

Dafne è il secondo lungometraggio del regista italiano Federico Bondi (dopo Mar Nero, nel 2008). Ha debuttato al Festival del cinema di Berlino lo scorso febbraio nella sezione Panorama, guadagnandosi l’approvazione della stampa internazionale. Il film vede come protagonista l’esuberante Carolina Raspanti che viene accompagnata, ma mai messa in secondo piano, da Antonio Piovanelli e Stefania Casini.

Dafne: recensione del film di Federico Bondi con Carolina Raspanti

È difficile esprimere un giudizio critico obiettivo su Dafne. Il film, che si barcamena tra dramma e commedia, si addentra in un territorio spinoso per tutti: per il regista, per i suoi interpreti, per il pubblico e per la stampa. È chiaro quale sia il suo intento: ribadire con voce tonante il valore sociale e personale delle persone affette dalla sindrome di Down, valore che non dovrebbe mai essere messo in discussione da nessuno (solo un individuo povero di spirito e intelligenza potrebbe sostenere il contrario). E per raggiungere questo traguardo, la presenza della brillante Carolina è un’arma formidabile.

Dafne cinematographe.it

Ciò che diventa inevitabile, però, è immaginare che il film sia stato costruito attorno alla sua stessa protagonista, trasformandosi in una sorta di campagna di sensibilizzazione involontaria. È abbastanza chiaro che l’idea fosse quella di dimostrare la forza di Dafne, la sua caparbietà, la sua capacità d’inventarsi e reinventarsi oltre (ben oltre) la disabilità. L’effetto finale è quasi sforzato: il film tenta con tanta foga di sdrammatizzare le situazioni di cui si compone da renderle irreali, talvolta eccessivamente leggere, altre trasudanti di buoni sentimenti, tradendo a tutti gli effetti quella che crediamo fosse la sua volontà iniziale.

Dafne non è un’opera di pietà, ma rischia di cadere in un’eccessiva finzione

Chiariamo una cosa: Dafne fa sorridere, ci fa commuovere e affezionare ai suoi protagonisti. È ben lontano dall’essere un’opera di pietà. È un film italiano di cui dobbiamo andare orgogliosi per ciò che rappresenta: la normalità della vita, di qualunque vita si tratti. Dafne lavora, stringe amicizie, guarda suo padre spegnersi nella vecchiaia e nel dispiacere di aver perso la donna che sosteneva lui, la sua famiglia e le stesse pareti di casa. È un dramma nel quale chiunque potrebbe immergersi, a prescindere da tutto.

Ciò che non convince del film è la sua stessa costruzione, l’insieme situazionale di cui si compone senza accorgersi che il rischio era quello di eccedere nella pubblicità progresso e in un amore finto, televisivo, che Dafne davvero non si merita. Insieme situazionale che fortunatamente tende a interrompersi nella seconda parte del film quando la protagonista e suo padre decidono di far visita alla tomba di Maria con un lungo pellegrinaggio a piedi. Per un momento (prima che i due ricomincino a interagire con personaggi secondari poco efficaci) il mondo attorno a loro si ferma e, in un’atmosfera quasi irreale, Dafne e il padre si confrontano con un dramma e una normalità che avrebbero dovuto mostrarci fin dall’inizio.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Recitazione - 2
Sonoro - 2.5
Emozione - 3

2.6

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