Corpo e Anima: recensione del film di Ildikó Enyedi

Vincitore dell'Orso d'oro allo scorso Festival del cinema di Berlino, Corpo e Anima è il nuovo film della regista ungherese Ildikó Enyedi. Il film sarà nelle sale italiane dal 4 gennaio distribuito da Movies Inspired

Da sempre fonte inestinguibile di ispirazione, l’onirico è stato spesso indagato e raccontato, usato come luogo in cui ambientare le proprie storie o come mezzo per esplorare i recessi dell’animo umano. Se dall’universo del sogno hanno pescato a piene mani registi come Fellini e Lynch regalando alle loro opere patine surreali, allo stesso modo è la chiave onirica a dover essere usata per interpretare i lavori del giapponese Kon Satoshi, tra tutti Millennium Actress (2001), Paranoia Agent (2004) e Paprika (2006), quest’ultimo gioiello d’animazione che fa del sogno il luogo d’elezione in cui tessere le fila del racconto, un film che è un carosello psichedelico che nulla ha da invidiare ai mondi creati dagli architetti di nolaniana memoria.

Corpo e Anima: recensione del film di Ildikó Enyedi

Corpo e Anima, o il sogno come esperienza conoscitiva

Il sogno come strumento per mostrare l’essere umano privato delle proprie difese più istintive e come luogo di incontro con l’altro è invece caratteristica principale dell’ultimo lungometraggio della regista ungherese Ildikó Enyedi dal titolo Corpo e Anima (Testről és lélekről, 2017), vincitore dell’Orso d’Oro allo scorso Festival del cinema di Berlino e tra i finalisti per la candidatura agli Oscar come miglior film straniero. Dopo un lungo periodo trascorso lontano dai set cinematografici durato ben diciotto anni, Enyedi aggiunge un nuovo titolo alla lista dei suoi film, tra cui si contano l’opera prima Il Mio XX Secolo (Az én XX. századom, 1986), vincitore della Caméra d’or al 42° Festival di Cannes, Magic Hunter (Büvös vadász, 1994), Tamas et Juli (Tamas és Juli, 1997) e Simon, the magician (Simon Magus, 1999).

In Corpo e Anima, Mária (Alexandra Borbély) ed Endre (Géza Morcsányi) lavorano da poco nello stesso mattatoio. Lei, una delicata ragazza bionda vicina ai trent’anni, è la nuova responsabile del controllo qualità. Lui, uomo di mezza età con un handicap alla mano sinistra, è il direttore amministrativo. Entrambi fortemente introversi, Mária spesso ha atteggiamenti ai limiti dello spettro dell’autismo e una memoria innaturale che la porta a ricordarsi con precisione persino giorno, mese e anno della prima mestruazione. Per quanto goffi nei loro tentativi di relazionarsi l’uno con l’altro, i due si incontrano in sogno, pacati abitanti di un ovattato paesaggio invernale che esplorano, cercandosi, sotto forma di cervi. La comparsa in scena della psicologa della polizia, che deve esaminare tutti i dipendenti a seguito di un furto di viagra per il bestiame, funzionerà da stratagemma per metterli a conoscenza del loro sogno condiviso.

Corpo e Anima: recensione del film di Ildikó Enyedi

Corpo e Anima tra immagini contrapposte e lento intimismo

Ciò che più colpisce durante la visione di Corpo e Anima è la giustapposizione continua del mondo del sogno, un ameno paesaggio boschivo in cui gli unici suoni sono lo scorrere dell’acqua e l’affondare delle zampe dei cervi nella neve, e del mondo chiuso del mattatoio, una serie esteticamente appagante di interni asettici e bianchi illuminati da luci fredde e impersonali che fanno da sfondo alla lavorazione cruenta delle carni. Se le scene del sogno servono a scandire il ritmo della narrazione in relazione al progressivo avvicinamento di Mária ed Endre e alla conquista di una sofferta intimità, la brutalità che si consuma nel mattatoio si intervalla a scene che dipingono la quotidianità della vita nel macello, quando le macchine si arrestano e i coltelli giacciono inutilizzati e gli animali aspettano immobili che il massacro abbia di nuovo inizio.  

Corpo e Anima è un film che scorre lento, un film che si sofferma maniacalmente sui dettagli: sulle briciole sparse su un tavolo immediatamente spazzate via da Mária; sulle cene che Endre consuma da solo in svariate tavole calde; sui pupazzetti che Mária utilizza per mettere in scena un incontro con Endre che ancora non è avvenuto e che quando avverrà deraglierà necessariamente dal binario dell’incontro immaginato, perché la vita reale è costellata di variabili infinite e l’entrata in scena dell’altro da sé deve per forza scuotere alle radici il pigro solipsismo di cui ci siamo ammantati. Questo di Enyedi è un film che mette in scena la sofferenza di entrare in contatto con l’altro, di abbassare le proprie difese e aprirsi a un possibile incontro preparandosi, allo stesso tempo, a essere feriti e, magari, rifiutati. È un film intimista e delicato, una storia d’amore che si sviluppa circospetta  ma che si abbandona anche alla dolcezza dei piccoli gesti, come chiamarsi poco prima di coricarsi per darsi la buonanotte e un arrivederci dentro ai confini del sogno.

Regia - 4.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 4.5
Recitazione - 4.5
Sonoro - 4
Emozione - 4

4.2