Colorless: recensione del film di Takashi Koyama

La recensione di Colorless di Takashi Koyama, la storia di Yuka e Shuji presentata in anteprima italiana al Far East Festival 2020.

Shuji Oyamada (Kaneko Daichi) è un giovane fotografo freelance, Yuka Tanaka ((Ishikawa Ruka)) è una modella e aspirante attrice. Sognano di vivere delle loro passioni e tutto nasce proprio dal loro incontro. Quando gli occhi dell’uno si fermano su quegli dell’altra si apre un mondo speciale; così parte Colorless di Takashi Koyama, presente nel programma del Far East Film Festival. 

Colorless_Cinematographe.itColorless: Yuka e Shuji, due sconosciuti che si incontrano e si innamorano

Yuka è tenera, buffa, è piccola, ha i denti storti – difetto amato dalle ragazze giapponesi che sognano di sembrare sempre delle bambine -, sembra un personaggio dei cartoni animati. Fin dal primo istante lo spettatore comprende che quella ragazza vuole essere portata in salvo. Da cosa? Da chi? Perché? Poi c’è Shu che ha i capelli biondi, è alto e dolce, ha sempre la macchina fotografica in mano e attraverso quella guarda il mondo e sceglie come suo soggetto/oggetto d’elezione proprio Yuka. Per lui è quasi un colpo di fulmine, si innamora, perde la testa per quella ragazza che arriva da un pianeta diverso, decide di essere il suo cavaliere che l’aiuta a diventare modella, le fa un portfolio, la salva dalla sua vita e da se stessa. I due si conoscono e si capiscono, riconoscono nell’altro la voglia di uscire dall’anonimato, di fare qualcosa di grande, o almeno di bello, di diventare qualcuno. Diventa una giusta metafora quella della maglietta di La notte dei morti viventi – titolo che unisce in qualche modo le esistenze dei due giovani – indossata da Shuji, perché entrambi stanno vivendo in una condizione di “zombie”.

Colorless_Cinematographe.itDall’idillio all’inferno

Yuka e Shu ci provano e tutto sembra perfetto, le fragilità dell’uno combaciano con quelle dell’altra, ma c’è qualcosa che non torna. La prima parte del film racconta una relazione idilliaca, poi tutto cambia e vengono a galla i segreti di Yuka che fanno vacillare ogni cosa e anche il ragazzo. L’inizio del rapporto con Shu ha un ombra, nella vita di Yuka c’è infatti ancora un ex presente che non esce né dalla testa né dal suo cuore.

Leggi anche Better Days: recensione del film vincitore del Far East Film Festival 2020

Il giovane riesce a migliorarsi, diventa un importante fotografo, la ragazza invece non ce la fa e sta proprio in questo l’assenza di colore del titolo: quella ragazza così divertente, così spensierata si fa fantasma, figura incolore, indefinita, e la sua indole già problematica si fa di minuto in minuto sempre più difficile da gestire e da vivere.

Se fino ad un certo punto il centro della storia è Shu, poi appare chiaro, in realtà ciò che si vuole narrare è l’amore incondizionato per Yuka. La giovane mente, manipola la realtà, sa essere perfida e maligna, ma è anche molto insicura; ricerca attenzioni, sopratutto maschili – emerge il fatto che fa la massaggiatrice per sbarcare il lunario -, costruisce una sé parallela che condivide con il mondo sui social, mostrando pezzi di vita non sempre reali – il cellulare è anche la causa dei problemi di Yuka, Shu scopre i suoi segreti proprio attraverso la lettura di messaggi che lei teneva nascosti. Crea qualunque tipo di rapporto perché è meglio stare accanto a qualcuno per aggrapparsi a lui e non le interessa se ferisce gli altri.

Colorless_Cinematographe.itColorless: il racconto di un mondo becero e crudele

Colorless porta sullo sfondo lo star system più becero e crudele; non si parla di geni, né di persone innamorate del proprio lavoro. Il mondo in cui i due vivono è profondamente maschilista, ogni cosa che riguarda la donna è vendibile: lei può vendere il proprio corpo, può “vendere” l’immagine di compagna ma anche quella di star.  Tutto sta nel modo in cui queste giovani donne giocano le loro carte, più sono disponibili più salgono nella piramide ma per Yuka le cose sono più difficili come se fosse sempre mancante di qualcosa.

La ragazza è invidiosa, gelosa della sua amica/collega che è arrivata là dove avrebbe voluto lei, e di minuto in minuto il confine tra vittima e carnefice per Yuka si fa sempre più labile. Lei sa essere cattiva con gli altri ma anche e forse sopratutto con se stessa, è portata a distruggere ogni cosa che tocca tentando di omologarsi al sistema per sopravvivere.

Takashi Koyama ci porta nel mondo complesso e drammatico di Yuka e di molte altre giovani come lei. Il dolore, il dramma dei due personaggi viene ben raccontato ma forse se il film fosse stato meno tirato nella parte centrale sarebbe arrivato dritto al punto concentrandosi nell’analisi di una personalità fragile che vive in un mondo in cui si deve scendere a patti per rimanere a galla.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione - 3.5

3.3