RomaFF14 – Cleo: recensione del film di Eva Cools

Vittima e carnefice si uniscono in Cleo, dove è la monotonia a non poter smuovere alcun sentimento verso il film.

Sono dinamiche che si ripetono spesso: vittima e carnefice si ritrovano legati in intimità, nonostante la tragedia che li ha visti uniti primariamente e che rimane come un peso nei silenzi e nei tormenti dei due. Capita che sia il destino ad avvicinare gli interessati, le coincidenze o i piani di un progetto più grande di noi. Oppure le persone stesse, bisognose di un confronto con chi ha inciso involontariamente così tanto sulla loro vita, per cercare magari un confronto o tentare di trovare le parole per mitigare l’enorme dolore che hanno procurato.

Come quelle che non riesce ad esprimere Leos (Roy Aernouts), alla guida spericolata di una macchina che ha causato l’incidente mortale per i genitori di Cleo (Anna Franziska Jaeger), da cui la ragazza è uscita miracolosamente salva. Non solo lo sbandamento che ha portato il veicolo della famiglia ad affondare nel canale, è l’omissione di soccorso che tormenta come un moto infernale la vita del ragazzo, la cui esistenza sembra essersi fermata a quella inconcepibile notte e può, forse, ritrovare pace solo confessandosi alla giovane. Quando, però, i due inizieranno a conoscersi, per Leos non sarà facile ammettere la propria colpa, mentre le intenzioni amorose di Cleo risulteranno cristalline fin proprio dalla sera del loro primo incontro.

È un’atmosfera molto fredda quella che proviene da Cleo di Eva Cools, regista e sceneggiatrice al suo primo lungometraggio, che sceglie una Bruxelles nebbiosa, triste, grigia per ambientare l’intreccio drammatico dei suoi personaggi, coperti anche loro da un’ombra di disfatta e dolore, che bene abbina la dimensione umorale al suo contenitore scenico. E che avvolge anche la ricezione dell’opera, con un pubblico alle prese con la storia travagliata di Cleo e Leos, ma anche con l’insopportabile peso di doverne subire staticamente la passività.

Cloe – Un incidente alla base, nessun rapporto alla finecleo, cinematographe

Facendo intendere fin da subito l’indicibile segreto che spinge il ragazzo a trovare contatto con la protagonista, il film sembra non avere nessun altra idea su come rimpolpare la relazione che va instaurandosi tra i personaggi, ponendo alla base solo quel peccato ingombrante, ma che non basta a sostenere l’intero rapporto, che non ha evidentemente nient’altro da offrire. Così Cleo si arresta non appena cominciato, giocando tutte le proprie cartucce fin dai primi minuti di film e sperando che lo spettatore accetti di credere, senza troppe richieste, al legame inconcludente, blando e privo di consistenza tra i due.

Una staticità che si appropria delle interpretazioni stesse dei personaggi, non permettendo loro alcun cambio di registro, nessuna sfumatura più velata o, al contrario, rimarcata, tutto soffocato dalla medesima cappa di insofferenza e costretti ad un’immobilità tale da denotare l’assoluta mancanza di ingegnosità creativa. Questo non si presenta solamente per l’intero svolgersi della pellicola, ma fa in modo di renderne partecipe anche il momento stesso del disvelamento, risibile vista la velocità che il film gli riserva e riducendone enormemente l’impatto che avrebbe dovuto, invece, accordargli.

Cloe – La staticità che ingloba anche i suoi protagonisticleo, cinematographe

La coerenza di Cleo è però nel voler rendere più organico possibile il proprio ordinamento filmico, facendo così interpretare il ruolo dei protagonisti a due attori che, un po’ a causa dei loro personaggi, un po’ per la direzione totalmente errata che non ha saputo seguirli, sanno dare lo stesso fastidioso senso di impotenza che la regista esercita sulla propria pellicola. Più che restituire la disperazione ingestibile del suo Leos, è l’attore Roy Aernouts a far disperare il pubblico per la sua indolenza per nulla incisiva, che del piangere su se stesso fa il proprio cavallo di battaglia, con cui infine ruzzolare a terra e venir sconfitto. E, anche se più concentrata sul proprio ruolo, nemmeno Anna Franziska Jaeger può sfuggire alla stereotipia della sbruffonaggine giovanile che cerca di superare, attraverso la presunzione, il vuoto subito, facendo perdere anche quelle poche cosa buone della propria performance nel mezzo della biasimevole interpretazione.

Rimanendo all’evidenza della superficie, i personaggi di Cleo non reagiscono ad alcuno stimolo perché mai spinti ad approfondire il vincolo che li ha voluti congiunti, portando avanti la monotonia della narrazione, provocando nello spettatore l’assenza del coinvolgimento emotivo.

Regia - 2
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2
Recitazione - 1.5
Sonoro - 2
Emozione - 2

1.9