Cattiverie a Domicilio: recensione del film con Jessie Buckley e Olivia Colman

Scandali, lettere anonime, ipocrisie provinciali e accenti satirici sono il sale di Cattiverie a Domicilio, il film con Jessie Buckley e Olivia Colman nei cinema italiani dal 18 aprile 2024.

Irriverente commedia in costume ambientata nell’Inghilterra di un secolo fa, ma l’umoristica denuncia di ipocrisia e perbenismo è parecchio trasversale e a suo modo contemporanea, Cattiverie a Domicilio – va ricordato il titolo originale, più efficace, che sarebbe Wicked Little Letters – arriva nella sale italiane il 18 aprile 2024, per una doppia distribuzione: BIM in collaborazione con Lucky Red. Regia di Thea Sharrock su sceneggiatura di Jonny Sweet; perdoneranno sicuramente, se il focus è tutto sul cast super prestigioso che raccoglie il meglio del cinema britannico (non solo) contemporaneo. Si vende con una certa facilità, una commedia con Jessie Buckley, Olivia Colman, Timothy Spall, Anjana Vasan e Gemma Jones. È la storia di uno scandalo, pruriginoso e abbastanza sboccato, che prende di mira il quieto conformismo e la morale ipocrita di un piccolo villaggio. Si parla di libertà ed emancipazione e la parola d’ordine è leggerezza; un’arma a doppio taglio, davvero si poteva osare di più. Il film ha una fiducia sconfinata (non a torto) nella capacità del cast di nobilitare la materia con la sua sola presenza e tende a dimenticarsi un po’ del resto.

Cattiverie a Domicilio: sboccate lettere anonime sconvolgono la vita placida e conformista di un villaggio inglese

Cattiverie a domicilio; cinematographe.it

La premessa è lineare in superficie, in profondità abbastanza folle. Non deve stupire che tutto origini da una serie di fatti realmente accaduti, anche se Cattiverie a Domicilio non ha molto interesse per la formula “ispirato a una storia vera”, preferendo quel tanto di ambiguità che gli è congeniale per prendersi le sue libertà quando è necessario, cambiando, aggiustando, soprattutto esasperando i toni, che sono quelli della commedia leggera in costume. È il principio degli anni’20 del secolo scorso nella piccola città di Littlehampton. Non succede mai niente e tutti conoscono tutti, le virtù e le manie, gli inconfessabili segreti. Il film comincia che la tempesta è già iniziata: una serie di oscene, sboccate e irriverenti lettere anonime sconvolgono la placida vita della famiglia Swan, prima, di tutta la città, poi. Sono in tre, gli Swan: Edith (Olivia Colman), è lei la destinataria, la mamma Victoria (Gemma Jones) e il terribile e dispotico papà Edward (Timothy Spall). Tutti sospettano, al punto che anche la polizia mostra interesse, l’irriverente vicina di casa degli Swan. Si chiama Rose (Jessie Buckley), è irlandese, ha perso il marito in guerra e a Littlehampton c’è venuta con la figlia Nancy (Alisha Weir) e il compagno Bill (Malachi Kirby).

La prima metà di Cattiverie a Domicilio si preoccupa di definire i contorni delle personalità e abbozza il quadro d’ambiente, la provincia conformista e pettegola, habitat naturale per il malizioso escamotage della lettera anonima. Edith è benpensante, moderatamente conservatrice, ha parole di perdono per tutti, perché la religione è il suo faro. Non più così giovane, sta ancora a casa dei suoi; di fatto non ha mai cominciato a vivere. Il padre la inibisce e la terrorizza, la manda in punizione come fosse una bambina, ne governa ogni azione esteriore. Resta l’interiorità di Edith, lì il mondo non può arrivare, ma anche questa è piena di rancori, malinconia e frustrazione. Non è lei però, a sospettare di Rose. È suo padre a puntarle contro l’indice accusatore, perché Rose è libera, irriverente, sessualmente disinibita, soprattutto è irlandese e da quelle parti vale come un affronto. Nulla di più comodo che prendersela con lei: vale per vicini, la comunità e la polizia. L’unica a credere nella sua innocenza è l’agente Moss (Anjana Vasan).

Agente donna Moss, come in genere la chiamano perché la novità (e l’inevitabile promessa di pari opportunità) è troppo da gestire per la reazionaria Littlehampton e serve un’etichetta per disinnescarla. L’agente Moss è il periscopio di Cattiverie a Domicilio. Tutto di lei, il carattere, la personalità, lo sguardo, serve a prendere per mano lo spettatore e guidarlo nei meandri dello scandalo; il suo distacco, la sua perplessità, la sua lucida tenacia bilanciano l’umorismo della premessa con una provvidenziale iniezione di realismo e sanità mentale. Il personaggio prende il sopravvento nella seconda parte del film, che sarebbe il momento in cui la satira in costume (e di costume) cambia pelle e diventa, prima un giallo convenzionale e poi una commedia imbevuta di suspense, quasi hitchcockiana nella confezione. Senza esagerare con gli spoiler, la situazione si fa sempre più chiara man mano che la storia procede. Le priorità a questo punto sono due: come incastrare il colpevole (è o non è Rose?) e, soprattutto, capire perché sia successo. Seconda parola d’ordine: libertà. Anzi, liberazione.

Di libertà, di liberazione, di una leggerezza forse eccessiva e di un cast straordinario

Cattiverie a domicilio cinematographe.it recensione

Non c’è spazio o gloria per gli uomini, nessuna gratificazione o riscatto imprevisto; sono, restano, fastidiosi contrattempi che ritardano – ogni minuto è prezioso – la liberazione (spirituale prima ancora che fisica) della donna. Perché di questo parla Cattiverie a Domicilio, indugiando sui toni di un umorismo leggero e scegliendo la via della satira maliziosa, senza però affondare il colpo, confidando nella forza delle sue oscenità, nell’inevitabile umorismo della situazione e, soprattutto, nella forza delle sue straordinarie interpreti: parla di affrancamento, di indipendenza. Le donne agiscono, subiscono, soffrono e lottano, pensano e soccombono; imperfette, ma vive. Gli uomini tiranneggiano mediocremente: è il riflesso di una società patriarcale alla fine della corsa. Uomini, gli ottusi tutori dell’ordine che fabbricano piste preconfezionate e negano la verità anche quando se la ritrovano davanti agli occhi. Uomo, il temibile padre padrone Timothy Spall, arrogante e insulso, vittima della sua attitudine prevaricatrice; meravigliosa la destrezza del grande attore che gioca su una combinazione studiata di gesti (pochi), parole (abbastanza) ed espressività (tanta) per tratteggiare il suo piccolo mostro della classe media.

Fa eccezione Malachi Kirby, ma in questo caso è il colore della pelle a giocare a suo favore; è un emarginato, messo all’angolo della civile e quietamente razzista Inghilterra di inizio secolo (Ventesimo). Cattiverie a Domicilio non ha nessuna pietà per il perbenismo, per la comoda ipocrisia di una morale benpensante, per la religione che fa scudo alla meschinità. Lo scandalo, il vero scandalo, non sono le lettere anonime, non è certo lo svelamento volgare (a suo modo innocente) degli umori reali che ristagnano sotto il placido conformismo di Littlehampton. L’autentico oltraggio è una vita di sudditanza nei confronti dell’abuso (patriarcale), delle buone maniere ipocrite, dell’intolleranza per tutto quello che si allontana dalla media dei pensieri e degli atteggiamenti. Lo script di Jonny Sweet è pieno di idee. Restano per lo più inespresse, non vale solo per la satira della vita in provincia.

Jessie Buckley è libera, sboccata, sessualmente appagata (colpa gravissima!). La sua “irlandesità” è uno schiaffo a ogni forma di inibizione. Il personaggio non cambia, forse perché non ne ha bisogno: piuttosto aggiunge, perfeziona, approfondisce. Lei è il contraltare perfetto per la nervosa, fluttuante e complicatissima Olivia Colman. Edith è una ragnatela di speranze, passioni, bisogni inappagati, crudeltà meschina, rancore e frustrazioni. La prima non cambia mai, la seconda cambia sempre; resta, nel mezzo, a guidare lo spettatore, Anjana Vasan. Ironia suprema di un film che conta così tanto sulla forza – anche distruttiva – delle parole, tutto quello che di importante ha da dirci ce lo comunica con lo sguardo. Basta, a offrire allo spettatore tutte le verità di cui ha bisogno, l’intensa vitalità che nasconde negli occhi, eroina del muto fuori tempo massimo. Cattiverie a Domicilio mette l’attrice e l’attore al primo posto. Condivisibile, peccato poi che si fermi qui.

Cattiverie a Domicilio: valutazione e conclusione

Cattiverie a domicilio (Wicked little letters) cinematographe.it

Ci sarebbe bisogno di più arroganza e sfrontatezza per prendere di petto i temi e le idee interessanti messi in scena. Ma Cattiverie a Domicilio non ha interesse, vale per la regia di Thea Sharrock come per la sceneggiatura di Jonny Sweet, ad aggredire la sua complessità. Confida, il film, nell’intrinseco umorismo della situazione, soprattutto nel prestigio del suo francamente incredibile cast. Basta la presenza di Olivia Colman e Jessie Buckley (la chimica è forte) a nobilitare la materia, al netto di una certa superficialità della confezione. Non si può restare indifferenti, ma il film (e le sue stelle) meritavano più coraggio.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 2.5
Recitazione - 3
Sonoro - 2.5
Emozione - 2.5

2.6