Broken English: recensione del docufilm con Tilda Swinton, da Venezia 82
La recensione di Broken English, il docufilm su Marianne Faithfull presentato a Venezia 82.
Broken English è stato l’album che ha segnato il ritorno sulle scene di Marianne Faithfull nel 1979, dopo oltre un decennio di oscurità tra abuso di droga e problemi di salute. Broken English diventa il titolo del docufilm che Jane Pollard e Iain Forsyth hanno voluto realizzare insieme alla stessa cantante. Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 82, Broken English è ambientato nel fittizio Ministero della Non Dimenticanza, dove dei funzionari – interpretati da Tilda Swinton, George MacKay, Calvin Demba, Zawe Ashton, e Sophia Di Martino – si occupano di recuperare memorie dei personaggi pubblici affinché il pubblico non li dimentichi e conservi per sempre i loro ricordi. Il documentario ha uno stile molto originale, a metà tra il giallo poliziesco e il metacinema, e vede la stessa Marianne collaborare con questa serie di personaggi e altre celebrità del panorama musicale – come il musicista Nick Cave – al fine di restituire un’immagine più fedele possibile di quella che è stata la sua vita e la sua carriera. Il risultato è un docufilm costruito tramite immagini e video di repertorio, che aggiunge una reinterpretazione live di alcuni suoi brani, interpretati da cantanti quali Courtney Love.
Broken English, il ritratto sincero di una donna che non vuole essere ricordata come “la fidanzata di Mick Jagger”

Marianne Faithfull era conosciuta come “la prima rock chick” e ha animato la scena musicale tra gli anni Sessanta e Settanta. Già a diciassette anni era una star e aveva all’attivo quattro album. Eppure per tutti era solo “la fidanzata di Mick Jagger.” Attraverso un’unica elaborazione di dati, foto e video del periodo storico, Broken English ricostruisce passo dopo passo la vita e la carriera di un’artista eclettica, che ha saputo destreggiarsi da un genere all’altro, pur restando alla fine sempre fedele alla sua vena rock. Il docufilm mostra gli amori della sua vita: da Bob Dylan, l’artista che le avrebbe dedicato una poesia, a Mick Jagger, il leader dei Rolling Stones. Ed è insieme a lui e alla sua band, che Marianne sperimenta una vita di eccessi e scandali, culminata con Sister Morphine, il brano che fece scalpore per il suo contenuto – si faceva palesemente riferimento all’assunzione di droghe.
Jane Pollard e Iain Forsyth coinvolgono attrici e personalità femminili del mondo dello spettacolo che si riuniscono in questo immaginario Ministero per discutere dell’impatto dello stile della Faithfull nella musica e soprattutto nella società. Per chi non conoscesse la storia, Sister Morphine era bollata come una canzone scandalo perché a cantarla era una donna. Queste personalità femminili del docufilm, riunite intorno a un tavolo, si chiedono se la recezione del pubblico fosse stata diversa all’epoca se ad esibirsi fosse stato un uomo. I due registi tratteggiano quindi l’altro lato di Marianne Faithfull, e ne emerge una donna forte e schietta (anche se, come la stessa ammetterà, parlava spesso in pubblico sotto l’effetto di droghe) e per questo fortemente criticata dalla società sessista e misogina dell’epoca.
Broken English: valutazione e conclusione

Il docufilm su Marianne Faithfull è ben costruito e facilmente comprensibile per coloro che non conoscono la sua persona. Infatti, Pollard e Forsyth mettono lo spettatore di fronte a una sorta di poliziesco, in cui uno dei gruppi del Ministero è incaricato di creare un’ordine cronologico degli eventi che hanno caratterizzato la sua vita. Ed è come assistere alla costruzione di un puzzle, che alla fine diventa tutto più chiaro. Broken English è un modo originale di realizzare un documentario perché non si limita solo a mostrare il materiale d’archivio, ma coinvolge il pubblico in una specie di caccia al tesoro in cui scopre ed elabora, di volta in volta, nuovi indizi sulla vita di quest’artista protagonista della Swinging London, che ci ha purtroppo lasciato nel gennaio di quest’anno.