Bordertown: recensione del film con Jennifer Lopez

Una pellicola del 2006 diretta da Gregory Nava, Bordertown è il film con Jennifer Lopez e Antonio Banderas che - ispirandosi a fatti di cronaca avvenuti a Ciudad Juárez - denuncia le condizioni drammatiche delle donne che lavorano nelle maquiladoras messicane al confine con gli Stati Uniti.

In Bordertown, Lauren Adrian (Jennifer Lopez) è una giornalista di Chicago che aspira a diventare corrispondente di guerra all’estero, ma il suo direttore non è pronto a darle abbastanza fiducia da mandarla in Iraq e così le viene assegnata un’inchiesta in Messico, su alcuni casi di femminicidio avvenuti a Ciudad Juárez, nello stato del Chihuahua. L’inchiesta è ciò che conduce Lauren sulle tracce di due serial killer, responsabili dello strupro e dell’omicidio di quasi quattrocento donne. Una di queste, Eva (Maya Zapata), sopravvive dopo che è stata violentata e sotterrata viva in una discarica e si mette in contatto con il giornale El Sol de Juárez dove lavora un ex collega di Lauren, Alfonso Díaz (Antonio Banderas).

A Lauren e Alfonso, Eva racconta la sua drammatica storia: una sera, mentre sta facendo ritorno nella baraccopoli in cui abita dopo aver finito il suo turno di lavoro alla maquiladora dove lavora, viene seguita da un uomo in un vicolo e per lo spavento prende un bus verso casa. Ma una volta scesi tutti gli altri passeggeri e rimasta sola con l’autista del bus, Eva viene da questo portata in una discarica isolata dove è da lui stesso violentata, in complicità con un altro uomo – un membro dell’alta società locale. Lauren e Alfonso nascondono Eva dalla polizia, che farebbe di tutto per non farla testimoniare, e si fanno carico del caso tanto che Lauren andrà incontro a diversi pericoli infiltrandosi come lavoratrice alla maquiladora pur di far venire a galla la verità e denunciare i colpevoli dei crimini. Ma andare contro a un sistema corrotto comporta sempre un prezzo da pagare…

Bordertown: una denuncia alla corruzione del sistema tra Messico e USA

Borderwtown, Cinematographe.it

Era il 1998 quando il regista Gregory Nava iniziò a lavorare al soggetto e alla sceneggiatura di Bordertown e propose a Jennifer Lopez di fare parte del cast. Il film fu poi girato nel 2006 ed uscì nelle sale cinematografiche l’anno dopo, frutto della volontà di Nava di raccontare a quante più persone possibili dei fatti di cronaca relativi alla città di Ciudad Juárez avvenuti a partire dal 1993 e rimasti irrisolti. Dal ritrovamento di quasi quattrocento – ma c’è chi dice siano molti di più – corpi di donne violentate e uccise in quella città dello stato di Chihuahua in Messico prende vita la storia poi romanzata di Eva, che nel film di Nava riesce in parte a farsi giustizia.

Sebbene la sceneggiatura di Bordertown abbia alcuni difetti e piccole lacune qua e là – non viene, per esempio, approfondito il legame tra polizia e omertà dei crimini – l’intenzione del regista di denunciare il sistema e dare voce a quella categoria di emarginate, quali sono le donne che lavorano nelle maquiladoras messicane, è comunque forte e presente. Attraverso una storia che a tratti nella regia passa dal genere thriller all’inchiesta politica – e che forse sarebbe stata più interessante sotto un profilo documentaristico – Nava prende posizione e critica apertamente il NAFTA, l’accordo sul libero scambio siglato nel 1992 e che ha portato all’incremento dello sfruttamento dei lavoratori nelle fabbriche messicane, al confine con gli Stati Uniti. Ma non solo: il regista mette anche in luce la frequente corruzione del governo, messa in atto da parte delle forze dell’ordine, in questo caso messicane – sebbene su questo aspetto avrebbe potuto soffermarsi maggiormente e in maniera più chiara ed esplicita.

 

Una finestra sulle maquiladoras messicane: cosa sono?

Bordertown, Cinematographe.it

Uno dei meriti di Nava nell’aver realizzato Bordertown è quello di aver raccontato la vita delle lavoratrici messicane nelle famigerate maquiladoras. Si tratta di fabbriche dove, in regime di duty free, vengono realizzati prodotti da esportare all’estero a ritmi quasi disumani – un televisore, per esempio, viene assemblato ogni tre secondi. All’interno di questi stabilimenti industriali lavorano persone – di sovente donne alle quali non è stata fornita l’istruzione necessaria per emanciparsi e per trovare migliori condizioni di lavoro – enormemente sottopagate e costrette a turni di lavoro massacranti a tal punto da potersi definire disumani. Ma la disumanizzazione di queste persone avviene proprio privandole non solo della dignità, ma persino di una voce con la quale potersi fare ascoltare e denunciare queste condizioni di sfruttamento. Nel film, infatti, viene mostrato come il sistema governativo stesso metta a tacere le condizioni delle lavoratrici, facendole divenire delle figure deboli e indifese alle quali mai nessuno crederebbe se volessero – ad esempio – denunciare un’aggressione da parte di qualcuno appartenente alla società benestante, ovvero a quella piccola parte ricca del popolo messicano. La figura di Eva, in particolare, è ancora di più quella di una donna senza voce e in minoranza, perché appartenente al popolo indigeno della città di Oaxaca.

Una colpa “condivisa”: la scena chiave tra Salamanca e Lauren

Bordertown, Cinematographe.it

Il personaggio di Marco Antonio Salamanca (Juan Diego Botto) è secondario in Bordertown, tuttavia condivide con Lauren una scena chiave nella critica che Nava fa alla corruzione del governo e all’accordo NAFTA.  Salamanca è infatti appartenente a una ricca famiglia che – come quella del killer Aris Rodriguez (Rene Rivera) – lavora nel business delle maquiladoras. Dopo aver condiviso anche una notte di passione, Lauren e Salamanca hanno uno scambio di battute molto importanti in una scena all’interno della maquiladora dove appunto lavora quest’ultimo. Lauren gli rimprovera di non avere il coraggio di prendere posizione come messicano o come cittadino statunitense, dopo la sorte toccata al collega giornalista Alfonso, e di essere parte dell’omertà della sua cittadina. A questo punto il personaggio di Salamanca si rivela negativo, ma ha un ruolo chiave per Nava che infatti affida alla sua onestà schietta e beffarda, nel bene e nel male, il compito di criticare la mancanza di giustizia per le classi più deboli.

C’è una legge per i poveri e una per i ricchi” sostiene Salamanca, alludendo al fatto che per profitto e interessi in denaro, l’alta società – inclusi politici e giustizia – non prenderebbe mai le difese del più debole andando contro i propri interessi e denunciando uno dei propri membri. Inoltre, Salamanca sottolinea che l’insabbiamento di prove a difesa dei colpevoli che però hanno il privilegio di essere parte dell’elite dei ricchi accade di continuo in Messico, come anche negli Stati Uniti. Alla luce di ciò, una riflessione tecnica ma anche espressiva: la scelta del direttore della fotografia Reynaldo Villalobos di caricare coi toni dell’ocra la pellicola per l’intera durata, dando una patina “infernale” alla città messicana, appare ora un’ostentazione di un cliché sullo stato del Messico e una volontà di ritrarlo nel suo stereotipo di Paese pericoloso e ingiusto, che però apprendiamo non essere poi tanto distante dalla realtà di altre grandi potenze occidentali. Ultima conferma, il fatto che il giornale per cui lavora Lauren alla fine farà di tutto per far sì che il suo articolo non venga più pubblicato, costringendola a ulteriori sforzi per lottare affinché la verità venga ascoltata da tutti.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 2
Emozione - 2.5

2.4