Black Bag – Doppio Gioco: recensione del film di Steven Soderbergh

Il 36° film diretto da Steven Soderbergh, con protagonisti Cate Blanchett e Michael Fassbender, è al cinema dal 30 aprile distribuito da Universal Pictures

Lo spionaggio, il tradimento, il raggiro, gli intrighi, una perfetta dinamica tra i personaggi. Steven Soderbergh torna al thriller di spionaggio con Black Bag, un film sofisticato, freddo e carico di tensione. Dopo aver affrontato il crimine da varie angolazioni con Traffic, Side Effects e The Informant!, il regista americano confeziona un’opera dove l’introspezione psicologica ha più spazio dell’azione, e dove la parola è arma quanto una pistola. La sceneggiatura è firmata da David Koepp (Jurassic Park, Carlito’s Way), mentre la fotografia, curata dallo stesso Soderbergh sotto lo pseudonimo di Peter Andrews, si rifà a toni freddi e metallici, perfettamente coerenti con l’atmosfera paranoide del film. La colonna sonora, firmata da David Holmes, accompagna in modo quasi invisibile ma costante le tensioni emotive. Protagonisti assoluti sono Cate Blanchett e Michael Fassbender, affiancati da Naomie Harris (Moonlight, Skyfall), Tom Burke (The Souvenir, Living), Regé-Jean Page (Bridgerton, The Gray Man) e Pierce Brosnan in un cast che funziona alla perfezione e che contribuisce a costruire un microcosmo narrativo denso, ambiguo e tragicamente umano. Il film è prodotto da Casey Silver Productions.

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Black Bag: il doppio gioco della coppia

Black Bag cinematographe.it

George Woodhouse (Michael Fassbender) e Kathryn St. Jean (Cate Blanchett) sono una coppia elegante, solida, quasi archetipica. Vivono a Londra, condividono una vita ordinata e un lavoro straordinario: entrambi sono agenti dell’intelligence britannica, seppur con ruoli diversi. Quando all’interno del servizio si insinua il sospetto di un tradimento, George – uomo meticoloso, silenzioso, spietato nel suo autocontrollo – viene incaricato di scoprire l’identità della talpa in una missione “black bag”, non ufficiale, fuori dai protocolli, affidata solo a uomini di assoluta discrezione. I sospetti si restringono a un piccolo gruppo di colleghi e conoscenti, tra cui – forse inevitabilmente – anche sua moglie. Iniziano così una serie di interrogatori, pedinamenti sotterranei, registrazioni ambientali, analisi incrociate.

Alcune delle sequenze più riuscite si svolgono durante cene e pranzi tra i sospettati, in casa di George e Kathryn, dove la tensione si taglia con il coltello: tra i presenti ci sono Simon Halliday (Tom Burke), analista senior dell’unità operazioni estere, Mina Ashar (Naomie Harris), responsabile della sicurezza interna, esperta di controspionaggi, Marcus Vale (Regé-Jean Page), giovane ufficiale operativo, considerato un’astro nascente del servizio. Ognuno dice poco, ma osserva molto. George mette in piedi un piccolo laboratorio d’indagine segreto, dove arriva perfino a utilizzare una macchina della verità, costringendo i suoi sospetti a confrontarsi con domande semplici e distruttive. Da qui l’intreccio va ad intricarsi ulteriormente di sequenza in sequenza, con i due protagonisti messi alla prova nel privato e nel pubblico privato, nel segreto e nella menzogna.

Obbligo o verità

Steven Soderbergh cinematographe.it

Obbligo o verità, dovere o sentimento, fiducia o inganno. Black Bag è prima di tutto una storia di dualismi. Il cuore del film non è la caccia alla spia in sé, ma tutto ciò che quell’indagine fa emergere: la fragilità dei legami, la linea sottile tra verità e menzogna, la confusione costante tra ciò che si deve fare e ciò che si sente. In Black Bag ogni personaggio è doppiamente schermato: da ciò che mostra e da ciò che tace. La verità, se esiste, non è mai stabile, e agisce essa stessa come un agente doppio: seduce, inganna, protegge, tradisce. La fiducia, in questo universo di occhi che scrutano e voci che registrano, è un artificio instabile, reversibile, che si costruisce nell’ambiguità tra ciò che sappiamo davvero e ciò che scegliamo consapevolmente di non sapere. Le relazioni, qui, non sono rifugi, ma campi minati emotivi: costruite su reticenze, omissioni, bugie bianche, mezze verità. In questo scenario il sotterfugio diventa linguaggio, strategia d’intimità, persino modo di amare. Perché mentire, in certi casi, non è altro che un gesto d’affetto. O forse solo un modo per sopravvivere, innanzitutto a sé stessi.

Black Bag – Doppio Gioco: valutazione e conclusione

Black Bag Michael Fassbender cinematographe.it

Black Bag è un esempio cristallino di come Steven Soderbergh sappia piegare i codici del genere alla sua visione autoriale. La sceneggiatura di David Koepp è solida, elegante, un gioco sottile tra silenzi e rivelazioni. Soderbergh, da maestro della regia, usa la verità e la fiducia come veri motori narrativi, con una costruzione che non ha bisogno di effetti esplosivi per mantenere alta la tensione. Le scene a tavola, con i sospettati raccolti insieme, sono tra le più riuscite, piene di menzogne non dette, sguardi sottili e ambiguità palpabili. Cate Blanchett e Michael Fassbender, nei panni di George e Kathryn, portano in scena due personaggi mossi dall’ossimorico e controverso rapporto tra dovere e sentimento, con una chimica che rende ogni scena più densa e affascinante. La loro capacità di trasmettere l’incertezza, la fragilità, e il conflitto interiore è ciò che dà profondità al film. Black Bag è un film che non cerca di stupire con l’azione, ma che affascina per la sua capacità di giocare con il dubbio e la menzogna. Una lezione di spy thriller in 93 minuti, diretta da un maestro e interpretata dai primi della classe.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.8