Venezia 79 – Beating Sun: recensione del film di Philippe Petit

Presentato a Venezia, il lungometraggio d'esordio Beating Sun segue un paesaggista che lotta per donare un polmone verde alla sua città.

Classe 1971, autore di corti e documentari selezionati in svariati festival internazionali (da Digital Cut del 2010 a Buffer Zone del 2014), Philippe Petit debutta nel lungometraggio con Beating Sun (in originale, Tant que le soleil frappe ovvero “Finché il sole batte”), di cui firma anche la sceneggiatura (coadiuvato nei dialoghi da Marcia Romano). Con la città di Marsiglia a fare da location principale, il titolo francese è stato selezionato per la Settimana Internazionale della Critica, sezione autonoma della 79a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia.

Per il suo lungo d’esordio, Petit segue la storia di Max (Swann Arlaud), paesaggista deciso a realizzare un giardino aperto nel cuore della propria città, ridando vita a una piazza abbandonata di cui l’amministrazione non sembra curarsi, così da offrire un’oasi in cui gli abitanti possano fuggire momentaneamente dalla frenesia della quotidianità. Purtroppo, tale sogno sembra destinato a rimanere un’utopia, dal momento che il progetto è fin troppo complesso e privo di potenziale economico, tanto da non solleticare l’interesse di papabili investitori. Vista sfumata anche l’ultima possibilità costituita da un bando di gara, Max non si perde d’animo e avvicina l’architetto Paul Moudenc (Grégoire Oestermann), sperando possa aiutarlo a trasformare la sua idea in realtà. Promettendo di pensare alla sua proposta, Paul propone nel frattempo a Max di realizzare un giardino privato per un cliente facoltoso, lavoro che il paesaggista accetta stanco di spaccarsi la schiena come giardiniere nel parco cittadino e consapevole di dover provvedere anch’egli alla propria famiglia.

Beating Sun: un quadro naturalista dal gusto rohmeriano

beating sun recensione tant que le soleil frappe cinematographe.it

Seguendo le orme di maestri francesi quali Éric Rohmer, Petit intesse una trama narrativa che poggia in larga misura sui personaggi e sulle loro lotte, da non considerarsi tuttavia crociate eroiche bensì confronti tra sistemi di ideali nella cornice del quotidiano. Ogni volto in Beating Sun esprime nelle sue azioni e nelle sue parole la propria bussola morale e la propria filosofia di vita, che finiscono inesorabilmente per collidere con la mentalità dominante della società contemporanea o le aspettative riposte dai conoscenti. Parimenti ai lavori dell’autore dei “sei racconti morali”, sono soprattutto i dialoghi il cuore pulsante del film. Consapevole di ciò, il regista non ha paura di seguire continuamente da vicino i propri attori, rimanendo loro incollato a dedicandogli spesso lunghi primi piani, alternando macchina fissa a movimenti di camera a mano, mettendo la propria regia interamente al servizio dei propri interpreti, i quali timonano la scena facendosi forza delle loro prove autentiche.

Beating Sun deve in fondo molto all’alchimia fra i membri del cast, che Petit sceglie con pregevole cura. Oltre a ritagliare una piccola parte per sé (quella di Seb, uno dei residenti del quartiere), il regista affida i ruoli principali ad attori navigati quali Arlaud, Oestermann e Sarah Adler (nei panni di Isabelle, moglie di Max), circondandoli però di non-professionisti che spesso impersonano propri alter ego filmici (il giardiniere capo del parco ricopre realmente quella posizione nella vita, così come il calciatore Djibril Cissé interpreta se stesso nei panni del committente del giardino privato). Un assottigliamento del confine tra realtà e finzione cinematografica da cui traspare una spinta quasi naturalista, attraverso cui il titolo si fa specchio di una storia di cui il regista appare molte volte più osservatore che artefice.

Idealismo e pragmatismo, naturale e urbano: il gioco delle opposizioni alla base di Beating Sun

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Sarebbe tuttavia ingiusto affermare che Petit si limiti a posizionare la macchina da presa lasciando che siano gli attori a fare il grosso del lavoro. Sono tanti gli espedienti con cui il regista porta avanti il fil rouge di Beating Sun, costituito da un continuo gioco di opposizioni. Sul piano della sceneggiatura, l’idealismo di Max si scontra con il pragmatismo dell’amministrazione cittadina e dell’architetto Paul, ma anche con le sue personali responsabilità di padre e marito. Tale tensione si avverte innanzitutto nella dinamica di coppia fra l’uomo e la moglie Isabelle. Quest’ultima rappresenta un ottimo contrappunto allo spirito sognatore del marito, a cui non chiederebbe mai di rinunciare alle proprie ambizioni, ma che si vede costretta a riportare con i piedi per terra quando ritiene che le sue azioni possano ferire la famiglia e ancor prima egli stesso. Assieme alla scrittura, l’interpretazione di Adler contribuisce a dare spessore a un personaggio il cui ruolo non si esaurisce nella funzione di forza oppositiva al protagonista. Combattuta riguardo al tenere o meno il bimbo che porta in grembo, preoccupata dalla propria età e restia a barattare i vizi occasionali che si concede con nuovi oneri, Isabelle vive di una propria identità indipendente dal marito, conferendo una maggiore veridicità alla relazione fra i due e di conseguenza ai dubbi che tormentano Max.

Parallelamente alle visioni del mondo espresse dai personaggi, Petit fa sì che le discordanze siano frequenti anche nelle immagini. Ovunque Max si rechi, la vegetazione lo accompagna, spesso avvolgendolo. Il fatto che ciò avvenga anche e soprattutto quando si reca negli spazi abitati dall’alta società, non solo ci ricorda quella che per il protagonista è una vera e propria ragione di vita, ma enfatizza l’aspetto sociale per cui mentre alcuni privilegiati possono godere di una natura rigogliosa, lo stesso non può dirsi per gli abitanti dimenticati che vivono attorno alla piazza trascurata, l’unico vero posto dove il paesaggista vorrebbe veder crescere il verde. Un elemento, quello vegetale, ricorrente anche nella sua contrapposizione con il paesaggio urbano, che Petit mette in primo piano fotografando a più riprese il terreno abbandonato, devastato da enormi buche, e gli edifici consumati dal tempo e dallo smog che lo circondano. Un botta e risposta, quello fra il verde delle piante e il grigio di mattoni e asfalto, enfatizzato dal comporto sonoro del film. Le musiche stranianti dal gusto sperimentale, a opera dell’inglese Andy Cartwright, contribuiscono a rendere l’immersione di Max nel suo obiettivo e, sovrapponendosi al mix di suoni (o rumori) naturali e urbani, riflettono sulla possibile convivenza tra i due mondi, piuttosto che sul dominio dell’uno sull’altro.

Beating Sun: un’oasi cinematografica tra denuncia sociale e ritratti di umanità

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L’assetto del film non deve tuttavia trarre in inganno. Petit non ha intenzione di firmare un titolo che sia a ogni costo “intellettuale”, sfiancando il pubblico con il suo passo pacato e il suo puntare la lente su drammi tanto umani quanto semplici, vicini a quelli che ogni giorno vediamo accadere attorno a noi. Il montaggio finale di un’ora e venti, al di sotto di quella che è ormai la media per un lungometraggio (tra i 95 e i 100 minuti), è una chiara attestazione del fatto che il regista non sia interessato a tediare il pubblico oltremisura. Senza ricusare la denuncia dal carattere naturalista, da cui emerge una società impermeabile ai sognatori restii al compromesso, ai quali non pare rimanere altra arma che la trasgressione, Beating Sun è semmai vicino al progetto del suo stesso protagonista. Il film si pone come un’oasi al pari del giardino inno all’otium concepito da Max, rinvigorente per lo spettatore che può lasciare il clamore della strada fuori dalla sala per lasciarsi circondare dall’umanità di un esordio che senz’altro fa guardare con fiducia al futuro di questo nuovo autore francese.

Prodotto da Frédéric Dubreuil per Envie de Tempête, Beating Sun è tra i film selezionati alla Settimana della Critica, nell’ambito della storica mostra cinematografica, in cui competono sette opere prime. Diretto e sceneggiato da Philippe Petit, il titolo vede un cast composto da Swann Arlaud, Grégoire Oestermann, Sarah Adler, Lee Fortuné-Petit, Marc Robert e Djibril Cissé.

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Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 3

3.7