Biografilm 2020 – Barzakh: recensione del film di Alejandro Salgado

Un documentario delicato e doloroso, il racconto di una terra di mezzo da cui è difficile fuggire e proteggersi.

L’oscurità, un gruppo di ragazzi e le loro voci, una luce fioca. Questo è Barzakh: per la cultura islamica, è quel mondo in bilico tra la vita e la morte, che qui, per i giovani protagonisti di Barzakh appunto, il film di Alejandro Salgado – che ha partecipato all’edizione 2020 del Biografilm -, è il luogo a metà tra paradiso e inferno, tra libertà e “prigionia”.

Barzakh - Cinematographe.itBarzakh: un documentario che racconto un non-luogo

Barzakh è un non-luogo che però incredibilmente è vero, esiste, è profondamente reale. Nel buio della notte, quei giovani, ancora minorenni raccontano, si raccontano e portano allo spettatore i sogni, le paure, i desideri di chi fino ad ora li ha taciuti per forza di cose. Guardano lontano, i protagonisti e in quell’orizzonte c’è tutto, il destino a cui andranno incontro quando prenderanno il mare. Il documentario si inserisce tra le pietre di questo luogo, si incunea in una natura fantastica e misteriosa, al riparo, nella notte più nera, e al centro del racconto c’è un gruppo di ragazzi, intrappolati tra due mondi: il Marocco, l’inferno da cui pensano di scappare, e l’Europa, il paradiso in cui sperano di approdare.

Il punto sta proprio lì in quel pezzo di terra che li separa dal futuro, dal destino, dall’Europa, una sorta di Limbo in cui la mente e il cuore costruiscono. La loro esistenza si muove in quella silenziosa stasi, tanto pericolosa quanto piena (di sogni, di speranze, di desideri), tra una bevanda preparata in una teiera seguendo il rito e la paura. I giovani guardano da quella spiaggia la vita che desiderano, colmi di tutto.

Barzakh - Cinematographe.itBarzakh: porta al cinema una storia utile, urgente

Dalla costa settentrionale dell’Africa, se la giornata è bella è possibile addirittura vedere la terra spagnola, quella che richiama, con la promessa di una vita migliore, come una suadente sirena, quella che si fa porta verso l’Europa. Alejandro Salgado racconta ciò che smuove i ragazzi che partono, perché l’ignoto è molto meno spaventoso del noto (la loro vita), ciò che smuove tutti quei migranti che prendono il mare, non senza angosce e lacrime negli occhi, perché per loro la terra è matrigna. Vivono in grotte e fessure nel maestoso paesaggio montano, in un nascondiglio che sembra quello delle favole lette da bambini ma la loro non è una favola anzi, è una storia di sofferenze e dolori, di speranze e sogni, di terrore e dolore, proprio come accadeva in Bolingo: The Forest of Love, in cui il regista parla di persone sulla costa che sperano di fare la traversata verso la terra promessa.

La cronaca racconta il viaggio, l’arrivo qui invece, grazie allo sguardo di Salgado che mostra l’ombra e la piccola luce, con le inquadrature strette e quelle più larghe, entriamo nel “mondo” subito prima, quello della scelta, quello che fa smuovere il viaggiatore. L’ambientazione è ciò che rende ancora più struggente e poetica una storia già forte di per sé: il buio, la lentezza mostrano una vita in pausa, talmente lenta da distruggere i nervi e addolorare il cuore. Incredibilmente il tempo sembra non esistere e la loro giornata è solo attesa, attesa mentre accendono i fuochi, mentre fanno il tè, contemplano la terra promessa. Così quel gruppo sogna, desidera, appare chiaro che abbia gli stessi sogni, le stesse speranze di qualunque altro giovane; sembra una banalità eppure per molti che non riescono a comprendere quanto costi un viaggio come questo e cosa spinga a compierlo può essere importante. L’immagine può servire, scuotere, squarciare occhi ciechi: quei minorenni che vorrebbero trovare moglie, avere figli, vivere un’esistenza più felice intenerisce e immalinconisce. Mentre tutto si costruisce, il mare culla i giovani e culla anche lo spettatore che si sente un ospite non voluto in questa comunione e condivisione di segreti e il sussurro dell’oceano costantemente sullo sfondo, le canzoni malinconiche sul destino, le madri lasciate alle spalle, sono contrappunti di una storia come tante ma che servono per sentire, vedere ciò che capita lontano da noi e che in un modo o nell’altro deve avere a che fare con noi, interpellandoci.

Barzakh - Cinematographe.itUn documentario delicato e doloroso

Barzakh è un documentario delicato e doloroso, il racconto di una terra di mezzo da cui è difficile fuggire e proteggersi. Salgado sta un passo indietro, e con un occhio fisso ma lontano in segno di rispetto per i ragazzi, per le loro storie, ci porta dentro le loro menti, nei loro pensieri, nei loro dialoghi, anche quelli più intimi.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 3.5

3.3