Barrio Triste: recensione del film di Stillz, da Venezia 82
In Barrio Triste, prodotto da EDGLRD, la camera morde, Arca trasforma il suono in un piano sequenza, Stillz partorisce mostri teneri nel ventre tossico dell’adolescenza.
Un quartiere che pulsa come una gengiva infetta. Un apprendistato sotto un cavalcavia.
Barrio Triste diretto da Stillz (fotografo e regista colombiano), presentato nella sezione Orizzonti della Mostra del cinema di Venezia, è lacerazione filmica che si incastra e si contorce nella sua versione più drammatica. Nessun governo federale, nessuna regola, solo mediocri sovranità al di sopra di un loop di baracche che mordono le fondamenta; un pantano che si nutre di una certa adolescenza. Come un tutorial YouTube andato in autoplay, Barrio Triste è un GPS impazzito dentro la psicosi periferica: è Gummo con la cocaina sotto un ponte a Medellín, Trash Humpers girato con un drone rubato a un narcos, Spring Breakers dopo la festa, quando a restare sono, soltanto, i cadaveri.
Per Stillz in Barrio Triste -nascere- è già abbastanza

Siamo in Colombia ma potremmo essere ovunque: un autolavaggio a Miami, una scuola abbandonata in Tennessee, un motel infestato da fantasmi digitali; la geografia è tossica, la mappa un trauma. La camera si rende complice di questa struttura filmica, diventa tecnicamente epidermica. Un unico piano sequenza per un’allucinazione documentaristica. Non c’è montaggio ma solo un tempo maltrattato a ridosso di un ritmo elettronico, sintetico e disossato. La narrazione del film pulsa irregolarmente, aprendo bocca solo per mordere i protagonisti; esseri senza redenzione, senza nessuna sintassi etica, senza un piano. Esseri messi in attesa: troppo veri per ricevere salvezza, troppo ai margini dei contesti globali per ricevere accettazioni collettive.
Arca sputa su tutto. Il suono è un rito lento e martellante, un corpo che graffia e squarcia, parla sopra le voci di quattro ragazzi – una gang che si filma mentre si autodistrugge. La camera è feticcio, specchio, arma; è un furto. Rivedersi è come sniffare il proprio fantasma. È pornografia dell’identità in un quartiere che si plasma in un virus di zona, che genera mostri teneri ghettizzati dalla solitudine in un ventre di una ragazza madre. In Chama, girato in una foresta vicino Barcellona, Stillz e Arca avevano messo in scena un parto oscuro: corpi gravidi, sudici, totemici. Nessuna narrazione, solo visioni. La maternità diveniva un gesto rituale, sporco, quasi animalesco. Barrio Triste è un adattamento cinematografico. Con Arca non esce una colonna sonora ma un suono fisico che spara vibrazioni sotto pelle. Spellando graffi estetici.
Barrio Triste: valutazione e conclusione
Stillz dirige come fosse un lungo videoclip, e si vede. La camera è isterica, il montaggio un attacco di panico. EDGLRD, al primo lungometraggio senza padre, sa come muoversi dentro questi rave cinematografici. Inventa nuove panoramiche della percezione per una grammatica visiva sempre più plastica. La sceneggiatura cripta il senso evocativo dell’immagine che diviene sci-fi povero, latinità mutante, quasi fantascienza ripresa con una GoPro in una favela dopo un blackout.
Un paesaggio ustionato dal sole e che suda sullo schermo. Una latrina che diventa altare elevandosi su violenze stratificate come dosi da banco, davanti panche di spettatori con la moralità sotto i piedi.
– Barrio Triste è il vero horror sociale della Mostra del Cinema di Venezia 82 –
Barrio Triste enfatizza il sogno americano nel sogno tropicale. È The Beach Bum senza poesia: solo hangover e strascichi. Stillz prende l’eredità della visione indipendente e la rannicchia nella storia di quartiere; una provincia minuscola che non si sdoppia, non si ripete, non si edita.
Barrio Triste è pornografia semantica dell’antropologia del presente; Stillz è regista di un cinema che contamina realmente la fiction della rappresentazione..