Babylon Sisters: recensione del film di Gigi Roccati
Babylon Sisters, recensione del film di Gigi Roccati sui problemi di una palazzina in cui abitano diversi nuclei famigliari di differente etnia, al cinema dal 28 settembre, distribuito da Lo Scrittoio.
Gigi Roccati abbandona il mondo del documentario per aprirsi alla speranza della finzione: Babylon Sisters è l’opera prima del regista italiano liberamente ispirata dal romanzo Amiche per la Pelle della scrittrice Laila Wadia pubblicato nel 2007 che racconta le sorti sempre al limite dell’incertezza delle famiglie di Via Ungaretti nella città di Trieste. Un cast cosmopolita che incontra, come accade nel film, costumi e usi diversi, composto dagli attori Amber Dutta, Nav Ghotra, Lucia Mascino, Renato Carpentieri, Rahul Dutta, Yasemin Sannino, Nives Ivanković e il cantautore, nonché realizzatore delle musiche originali di Babylon Sisters, Peppe Voltarelli.
A Kamla (Amber Dutta) non piace la nuova palazzina in cui si è trasferita con i genitori e non ha certo tutti i torti. Abbandonata al suo spettrale degrado, con intonaci spaccati e la possibilità di ribaltarsi al più forte anelito di vento, la struttura di Via Ungaretti è inadatta ad accogliere nuclei familiari, i quali con un’ingiunzione di sfratto sono costretti a lasciare al più presto le loro case. Un sopruso che non può essere incassato, ma si correrà ai ripari per non lasciare nessuna famiglia in mezzo alla strada.
Babylon Sisters – Ingiustizia chiama ingiustizia
Babylon Sisters è tutto ciò che di sbagliato può esserci oggi sul tema dell’immigrazione. Il regista Gigi Roccati combatte l’ingiustizia con l’ingiustizia, l’abusivismo con il pagamento in nero, la disoccupazione con gli aperitivi. Una prospettiva poco edificante per chi nella vita continua a spendere sacrifici, a portare quel poco pane a casa, concludendo come in una bambinesca favola le sorti della sua opera, tra danze bollywoodiane e sogni – leggeri e fragili – compiutamente realizzati.
La torre di Babilonia è il motore di questa storia in cui va a incrociarsi la multicultura, condividendo un terreno povero composto da lamentele e non fatti, da esigenze e non rispetto. La presunzione con cui si reclamano i propri diritti rimanendo tutto il giorno a suonare nel cortile del palazzo, piangendo per i soldi che mancano, mentre a lavorare basta un’unica persona per famiglia.
Sottoposto a tale ideologia, errata fin dal suo concepimento, il film non riesce a suscitare alcun tipo di comprensione nei confronti dei suoi personaggi indiani, turchi, cinesi, alimentando solo un alto sintomo di sconcerto per un’Italia in cui nessuno si salva dalla gogna dell’ipocrisia, stranieri o italiani che siano. Un errore che solo in parte è da riportare anche alla poca esperienza di scrittura narrativa del regista Gigi Roccati il quale, arrivando dall’ambiente documentaristico, scopre le sue carte costruendo il proprio lavoro su una sceneggiatura debole e approssimativa – scritta a più mani insieme ad Andrea Iannetta e Giulia Steigerwalt – nella quale viene completamente dato per scontato un passato dei protagonisti in cui le loro differenti nazionalità nel Paese ora occupante impediscono loro qualsivoglia risvolto positivo per un miglioramento delle loro condizioni.
Babylon Sisters – nel film un mix di culture e di generi
Un miscuglio di generi, quello di Babylon Sisters, pari quasi alla compresenza delle varie realtà culturali all’interno del film: un proseguire tra dramma famigliare e commedia al femminile, impegno sociale e film di formazione, una sorta di cuscus di stilemi che, dal potere delle donne alla forza della solidarietà, non manca l’occasione per perdersi su binari confusi, evitando per scelta qualsiasi catalogazione. Un’opera dal poco impatto che tende rovinosamente a contrariare, sprecando l’opportunità di voler raccontare con aurea di positività le difficoltà dei cittadini stranieri del nostro tempo.