Roma FF17 – Astolfo: recensione del film di e con Gianni di Gregorio

Un film intimo, gentilmente audace e romantico. Astolfo è un'opera che insegna la leggerezza e l'arte di scivolare lungo le peripezie della vita.

Gianni di Gregorio è Astolfo, protagonista del film da lui diretto, sceneggiato e interpretato. Una pellicola che proietta già nel titolo l’eccentricità del personaggio, scatenando altresì una tensione intestina tra apparenze e realtà, rimarcata dall’insistenza di esistere: nelle inquadrature, nei pensieri di chi lo conosce, nei dialoghi di chi lo incontra.
Astolfo si fa allora titolo del lungometraggio, presentato alla Festa del Cinema di Roma 2022 e in uscita nelle sale italiane dal 20 ottobre 2022 grazie a Lucky Red, e diviene al contempo oggetto di un bilancio spontaneo, di una narrazione naturale, quasi casuale, che sfocia in vita.

La provincia laziale è il posto in cui ricominciare in Astolfo

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La narrazione parte nel momento in cui, gentilmente sfrattato dal suo appartamento romano, il protagonista ripiega in un vecchio palazzo nobiliare di famiglia, abbandonando la grande città per adeguarsi ai ritmi di un paesino. La città di Artena si fa nido di una rinascita interiore, culla di rapporti umani da intrecciare e coltivare con la spensieratezza di un’età che procedendo in avanti fa tornare irrimediabilmente indietro senza mai distaccare gli occhi dal presente, dall’attimo che si consuma in fretta, dalla necessità di un confronto umano che sia limpido e sprezzante del pericolo.
Astolfo, professore dall’esigua pensione, cattura lo spettatore per mezzo della sua genuina generosità: motore silenzioso dell’intera vicenda. La presenza dei suoi compagni di viaggio, nonché le disavventure che si ritrova ad affrontare insieme a loro, sono infatti frutto delle porte che decide di lasciare aperte senza neanche porsi domande sul perché. Ecco allora che l’inquilino (uno sventurato cacciato dalla moglie) che trova nella sua dimora è visto da subito come un complice col quale condividere felici digressioni, fulcro di un cenacolo virtuoso di umanità in cui la materialità rimane inabissata in problematiche a cui i protagonisti sembrano estranei; la pioggia che arriva dentro casa e rovina il sugo, la corrente elettrica inesistente, la cucina da rottamare, sono cose che non influiscono sullo stato d’animo di Astolfo e dei suoi amici, bensì spiragli per lanciarsi in piccole imprese.

Attraversando le strade di un paesino laziale con la sua piccola auto Astolfo piroetta sulle curve con la stessa espressione di chi si accinge ad affrontare le onde in mare aperto; ha le rughe disegnate sul volto di chi si è lasciato accarezzare dalla vita e lo sguardo intrepido di un ragazzino che scopre per la prima volta la libertà. E con quel guizzo vitale affronta le giornate, circondandosi di amici scanzonati e prendendo in giro il potere con educazione, come in quelle scene in cui tenta invano di avere le sue ragioni col prete, di cui veste i panni Andrea Cosentino (che si è impossessato del suo salotto) o col sindaco, interpretato da Simone Colombari (che si è indebitamente impadronito delle sue terre).

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L’amore per Stefania (interpretata da Stefania Sandrelli), poi, una dolce signora dalle giornate sempre piene di nipotini da riprendere a scuola e commissioni da sbrigare, apre le porte alla primavera dell’amore, in un’altalena di batticuori e insicurezze dal profumo adolescenziale, in cui però a mettere becco tra i due piccioncini sono i figli di lei. La tenerezza che nasce da questo rapporto è fatta di istanti di delicato romanticismo, tanto più leggiadri se accostati a quadretti di bucolica provvidenza (non divina, ma umana!) capaci di guidare l’animo verso un cammino fatto di fiducia incondizionata per il prossimo.

Se la Sandrelli riesce a immedesimarsi nella dolcezza che di fatto da sempre le appartiene, Di Gregorio ricama su se stesso il ritratto di un eroe senza spada né rabbia, il suo Astolfo vagabonda nella felicità spicciola della vita con la leggerezza di una farfalla, delineando i contorni di una storia che riesce a rimanere impressa grazie alla sua linearità sbilenca, insegnandoci l’arte della leggerezza semplicemente mostrandocela.
Gli attori che completano il cast (Alfolso Santagata, Alberto Testone, Mauro Lamantia, Agnese Nano, Biagio Forestieri, Mariagrazia Pompei, Francesca Ventura e Gigio Morra) sanno incastonarsi ognuno al suo posto, immortalati dalla fotografia lucennte di Maurizio Calvesi, per mezzo della quale spesso e flebilmente sogno e realtà sembrano fare le capriole.

Gianni Di Gregorio insegna la leggerezza


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Avviandoci verso la conclusione, potremmo dire che se Astolfo fosse una sensazione sarebbe certamente quella della leggerezza, dell’arte di arrangiarsi, della bellezza di scivolare lungo gli imprevisti della vita sorridendo, abbracciandosi sempre stretti, fuggendo dalla materialità, perché alla fine ciò che conta è saper amare e saper dare, a qualsiasi età, in qualsiasi città. E persino questo allontanamento dall’Urbe per tornare forzatamente a casa è un volontario andare verso il sé più intimo, più indifeso, più sprovveduto.
Astolfo, prodotto da Bibi Film con Rai Cinema e con Le Pacte, è una lettera d’amore scritta intingendo la penna nell’anima, un’opera che esala serenità, intraprendenza e audace dolcezza.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 5
Sonoro - 3
Emozione - 3.5

3.8