AIR – La Storia del Grande Salto: recensione del film di e con Ben Affleck

AIR - La Storia del Grande Salto, regia di Ben Affleck con Matt Damon, Viola Davis, Affleck stesso e Jason Bateman, è la storia di una leggenda. E degli uomini e delle donne che l'hanno resa possibile.

Michael Jordan, lui, in AIR – La Storia del Grande Salto, lo troverete, certo, ma non in primo piano. Una videocassetta da vedere e rivedere, la copertina di un magazine sportivo, un’imponente sagoma di carne e ossa ma sempre di spalle o di lato, niente primo piano, niente facili concessioni a un pubblico che in fondo non aspetta altro. Il film, diretto da Ben Affleck su script di Alex Convery e nelle sale italiane il 6 aprile 2023 per una distribuzione Warner Bros Pictures Italia, è troppo intelligente per cadere nella trappola; neanche può essere liquidato alla voce film-su-Michael Jordan. O sulla Nike, o sullo storico accordo tra il brand e l’atleta che apre la strada a un marchio leggendario, “Air Jordan”.

AIR - La Storia del Grande Salto cinematographe.it recensione

Molto semplicemente, AIR – La Storia del Grande Salto è tutto questo e molto di più, un film sulla meccanica di un’ossessione, un documentario travestito da opera di fiction sulla costruzione di una leggenda, perché l’immortalità ha bisogno di calce e di sudore. Esplorare gli antefatti del mito significa raccontare la vita degli uomini e delle donne nascosti nell’ombra, senza i quali nulla sarebbe accaduto, generalmente condannati a un oblio inclemente ma che qui invece, potenza di Hollywood, fanno sentire la loro voce. Con Matt Damon, Ben Affleck, Jason Bateman, Marlon Wayans, Chris Messina e Viola Davis.

AIR – La Storia del Grande Salto: la scarpa, l’atleta, il brand

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Nell’orwelliano anno del Signore 1984, le cose alla Nike sono diverse da come le visualizziamo oggi. Tanto per cominciare, preistoria del brand, lo sport di riferimento è l’atletica, il podismo, qualunque cosa si faccia correndo e basta, insomma. Il basket è in fondo alla lista. Lì spadroneggia la concorrenza. La concorrenza è anche interna (Converse) ma a tenere banco è soprattutto il Behemoth straniero, l’Adidas, che all’epoca nessuno, ma proprio nessuno, riusciva a immaginare in una posizione diversa da quella occupata stabilmente nella gerarchia dei marchi più prestigiosi della pallacanestro a stelle e strisce, cioè la numero uno. Impossibile scalzare il predominio tedesco. Ecco a voi Sonny Vaccaro (Matt Damon).

Sonny è un manager della Nike, nelle sue parole l’unica azienda al mondo capace di accoglierlo. Ne sa, di basket, più del 99% della popolazione mondiale e forse è per questo che quando espone per la prima volta la sua idea convince solo Howard White (Chris Tucker) il responsabile dei clienti che anche volendolo, non potrebbe dargli luce verde. All’epoca la Nike, non potendo permettersi di competere con le rivali, accettava l’idea di sponsorizzare giocatori di fascia medio-alta o giù di lì. Non particolarmente esaltante, ma il core business è altrove, su una pista di atletica, giusto? Né l’uomo del marketing Rob Strasser (Jason Bateman), né il CEO Phil Knight (Ben Affleck) vanno pazzi per l’idea di Vaccaro di puntare l’intero budget destinato al basket su un solo giocatore, oltretutto lanciando un linea di abbigliamento personalizzata. Difficile capirlo oggi, dopo quasi quarant’anni di senno del poi, ma nel 1984 solo due persone erano in grado di afferrare il potenziale di Michael Jordan. Sonny Vaccaro, tanto per cominciare. E sua madre, Deloris Jordan (Viola Davis).

La prima regola di un buon accordo, ci ricorda AIR – La Storia del grande Salto, è di passare sempre e comunque per gli agenti. Ma David Falk (Chris Messina), il rappresentante ufficiale, non è molto amichevole con Sonny; tra l’altro gli fa capire che Michael la Nike neanche la prende in considerazione, vuole soltanto Adidas. Sonny capisce che non può vincere giocando secondo le regole. Perciò si mette in contatto con uno dei primi allenatori, George Raveling (Marlon Wayans) e poi va a parlare direttamente con i genitori del ragazzo – è la mamma Deloris a comandare – per far capire quanto speciale sia la proposta Nike, l’unica che oltre lo sportivo valorizza anche l’uomo. Riesce a strappare la promessa di un incontro. Ora bisogna solo convincere mr. marketing e il CEO a sostenere una proposta commerciale irripetibile e molto onerosa, forzare il designer Matthew Maher a tirar fuori la scarpa del secolo, convincere Jordan con un pitch da urlo, sperare che l’accordo infranga qualunque record immaginabile in termini di appeal sportivo e impatto sulla cultura popolare. Facendo guadagnare, tanto per gradire, una montagna di soldi a tutte le parti in causa. Non indovinerete mai come va a finire.

Una storia americana

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La sceneggiatura di Alex Convery, questa notazione la troverete praticamente in ogni recensione di AIR – La Storia del Grande Salto, ha fatto parte della cosiddetta Black List, cioè l’elenco dei migliori copioni non prodotti. Facile capire perché. Michael Jordan non è semplicemente uno sportivo. “Air Jordan” non è il nome di una linea di abbigliamento e basta. L’accordo, la storia dell’accordo, non è solo una questione di (tanti) soldi. La forza della sceneggiatura, che si trasmette all’intelligente regia di Ben Affleck – che con AIR – La Storia del Grande Salto si e ci regala il suo miglior film dai tempi di Argo – è di aver trovato una chiave narrativa efficace per raccontarci una cosa al tempo stesso elementare e inafferrabile. La vita è una faccenda maledettamente complicata. Il film è la celebrazione del sogno americano nella sua dimensione esistenziale più articolata e interessante, più pura forse: un minestrone di umanità e fame di denaro.

La regia di Ben Affleck è intelligente, pulita, lineare. La messa in scena non ha nulla di radicale o spiazzante, si affida alla consuetudine, una scrupolosa ricostruzione degli anni ’80 che condiziona e modella in modo molto puntuale la qualità dell’immagine, le acconciature, la musica, il battito della storia. A far da contraltare alla semplicità esteriore una narrazione che sotto la superficie (la cronaca di un accordo storico) esplora qualcosa di più sfaccettato e sotterraneo. I segreti di un’ossessione, i pro e i contro di un’idea fissa, l’attrazione imponderabile per il rischio e una verità semplice semplice che fa tanto più rumore perché filtrata da un’industria tra le meno propense al rischio, cioé Hollywood: la leggenda nasce sempre dal coraggio di guardare in faccia le regole, infischiandosene. Il protagonista di AIR – La Storia del Grande Salto, Michael Jordan, è quasi sempre fuori scena, un’ombra, un profilo da leggenda. Al suo posto una platea di co-protagonisti che il film si diverte a celebrare, restituendo quella centralità che la storia in fondo gli aveva sottratto.

E se lo charme (qui volutamente sovrappeso) di Matt Damon fa subito presa e nelle interazioni con Ben Affleck si avverte una posta in gioco molto autobiografica, vanno fatti i nomi e i cognomi di alcuni tra i comprimari di livello, la solita notevolissima Viola Davis, il teneramente malizioso Jason Bateman e uno strepitoso Chris Messina. E se il film, con i suoi dialoghi torrenziali e un’attenzione rigorosa al dettaglio narrativo e psicologico ha fatto parlare tanti (con ragione) di eredità di Aaron Sorkin, c’è anche qualcosa di più nell’esplorazione dell’ambiguità irrisolta alla base di ogni grande storia. La frizione tra sentimento e impulsi materiali, tra gratificazioni spirituali e.. beh, il capitalismo. La linea “Air Jordan” è un cardine della leggenda sportiva di Michael Jordan, un accordo iper lucrativo, un brand che ha conquistato milioni di giovani in tutto il mondo, un feticcio pop. Una storia americana, nel senso più completo del termine: anima e denaro. Ben Affleck, che oltre a fare il regista si ritaglia una nicchia divertita con il suo Phil Knight, ha accettato questa complessità e l’ha restituita con lucidità e un bilancio in attivo.

AIR – La Storia del Grande Salto: conclusione e valutazione

Possibile che Matt Damon e Ben Affleck, nello scegliere il film, pensassero anche alla loro, di storia, ai rischi e alle gratificazioni che puntellano una carriera di successo. Un film dal sotterraneo potenziale autobiografico. Funziona il contrasto tra la classicità della messa in scena e la complessità esistenziale dei temi. La pregevole colonna sonora è un bel mix di classici del pop/rock anni ’80. Il film esce, in America e nel mondo, nella primavera del 2023. In assenza di sfere di cristallo, si va a tentoni: un certo potenziale da Oscar, c’è, a partire dalla sceneggiatura di Alex Convery, che lavora con intelligenza attorno alla leggenda, riscoprendone l’umanità. Tra l’altro, girare un film su una stella del basket mostrandone pochissimo, di basket, senza frustrare peraltro frustrare le aspettative dello spettatore, è notevole.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 3

3.4