Venezia72 – Abluka (Frenzy): recensione

Qualche goccia dello stile cinematografico turco e del modus vivendi della vecchia Costantinopoli penetra nella 72ma Mostra del Cinema di Venezia col regista Emin Alper, autore di Frenzy (Abluka), un’opera dal ritmo lento, venata dalle ombre di una routine appiccicosa e violenta.

Abluka (Frenzy): la discesa negli inferi di Instanbul, attenagliata da misteri e ordini da seguire

La storia raccontata da Alper è quella di Kadir, un uomo al quale viene data la possibilità di uscire dal carcere. Ad intercere per lui un alto ufficiale della polizia, Hamza, ma il prezzo che gli impone di pagare è forse più alto della libertà stessa. Kadir dovrà infatti lavorare per la nuova unità di operatori ecologici, aventi il compito di raccogliere informazioni per i servizi segreti attraverso la raccolta di rifiuti nelle baraccopoli e la loro attenta scannerizzazione al fine di appurare la presenza o meno di materiali collegati alla produzione di ordigni esplosivi.
In una di queste zone Kadir incontra suo fratello minore, Ahmet,  che lavora per la squadra comunale responsabile dell’abbattimento dei cani randagi. La riluttanza di Ahmet a stabilire un legame fraterno con Kadir, malgrado le insistenze di quest’ultimo, induce il fratello maggiore a inventarsi ipotesi di complotto per spiegare la distanza del fratello.

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Un montaggio che ha la capacità di dilatare il tempo, inserendo quasi ossessivamente le stesse immagini e intrufolando allucinazioni senza scandalizzare lo spettatore, al punto da confonderlo sulla loro realizzazione all’interno della trama filmica.
Tutte le situazioni si accavallano vicendevolmente, ma non si incastrano mai perfettamente, provvedendo a sottolineare ed aumentare il volume del delirio e della follia che dilaga in una Istanbul segnata dal caos politico. Il momento storico in cui si svolge l’azione, scosso dall’allarme del terrorismo, sembra vicino alla contemporaneità, ma non ci lascia riferimento alcuno, lanciandoci nel limbo del possibile e del fittizio.
Frenzy (Abluka) racconta, fondamentalmente, la storia di uomini e donne comuni, alle prese con un sistema che sa trasformarli da cittadini a soldati, facendo leva sulla loro necessità di sopravvivere. Senza rendersene conto i protagonisti divengono parte di un meccanismo violento e sanguinoso, che li mette gli uni contro gli altri, abolendo legami di sangue e di amicizia.

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Ahmet e Kadir hanno entrambi due ruoli di potere, agiscono come se fossero delle divinità sentenziando su gente e uccisioni, ma lo fanno con la meccanicità e la freddezza dei manovali. Non si rendono conto dell’autorevolezza e del peso della loro posizione, ma concepiscono la profondità del dolore e l’amarezza della finzione, rimanendo comunque inermi.
Il motore di Frenzy, che tra l’altro significa frenesia, abita tra le beghe della politica e le scelte personali, entrambi emblema di una tragicità che non lascia scelta. Se da una parte eseguire gli ordini è il modo più semplice per continuare a vivere, dall’altra è inesorabilmente rischioso non lottare e lasciarsi vivere, poiché tutto questo si ritorcerà contro di loro.

In conclusione Abluka (Frenzy) risulta un film pesante da seguire, ma capace di mettere in luce la parte più tragica di un Paese, eliminando la bellezza artistica, culinaria e folkloristica o, per lo meno, immettendola nella pellicola giusto quel poco che basta per tratteggiare il volto di una società impigliata nel caos della quotidianeità.

Giudizio Cinematographe

Regia - 2
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2
Recitazione - 2.2
Sonoro - 2
Emozione - 1.7

2

Voto Finale