A Big Bold Beautiful Journey – Un viaggio straordinario: recensione del film di Kogonada
Non bastano, il talento e il carisma dei bravissimi Margot Robbie e Colin Farrell, a riscattare l'interessante ma imperfetto A Big Bold Beautiful Journey - Una viaggio straordinario, regia di Kogonada e in sala dal 2 ottobre 2025.
C’è un punto oltre il quale né il carisma, né il talento, né la spendibilità commerciale bastano a salvare un film da se stesso. A Big Bold Beautiful Journey – Un viaggio straordinario illustra chiaramente il problema, e offre anche una via di fuga (affidarsi senza riserve ai suoi protagonisti) che però è parziale e, per forza di cose, non del tutto soddisfacente. Il film, diretto da Kogonada (Columbus, After Yang) e nelle sale italiane il 2 ottobre 2025 per Eagle Pictures, ha per protagonisti i molto bravi, molto belli e molto carismatici Colin Farrell e Margot Robbie. Attorno, tra gli altri, ci sono anche Kevin Kline, Phoebe Waller-Bridge e Sarah Gadon. Di base è una commedia romantica, un on the road sentimentale in bilico tra realismo e fantasia, presente e passato, divismo e normalità, utile a capire quanto lontano possano spingersi, attori del calibro di Margot Robbie e Colin Farrell, per tenere in piedi la baracca: molto lontano… e insieme non abbastanza, ed è un peccato. Ma non è colpa loro, ce l’hanno messa tutta. C’è sempre un limite, e il limite stavolta è una scrittura (una regia, anche) troppo meccanica per dare sapore a premesse, malgrado tutto, di un certo interesse.
A Big Bold Beautiful Journey – Un viaggio straordinario: un viaggio e molte porte che si aprono

Lo spunto di A Big Bold Beautiful Journey – Un viaggio straordinario è quel tipo di ironica implausibilità hollywoodiana che fa imbestialire la critica, piace al pubblico e funziona, se assistita da un’adeguata impalcatura, narrativa e tematica. Il copione, firmato Seth Reiss, è riassumibile nella formula: persone affascinanti con problemi. La generalizzazione è troppo stringente; di problemi ne abbiamo tutti e non è difficile crederlo. Bisogna riformulare il concetto, perché il film interroga lo spettatore in modo più sottile. Riesci a credere, si e ci domanda, che Colin Farrell e Margot Robbie abbiano, non tanto dei problemi, quanto piuttosto dei grossi problemi?
Molto, della fortuna del film, dipende dalla risposta alla domanda. E la risposta è che, sì, Margot Robbie e Colin Farrell riescono a farci credere all’infelicità e all’autoimposta solitudine sentimentale di David (Colin Farrell) e Sarah (Margot Robbie). Si incontrano per la prima volta a un matrimonio. Per arrivarci, hanno preso a nolo due macchine. L’agenzia di noleggio è in un hangar gestito da due bizzarri personaggi, interpretati da Phoebe Waller-Bridge e Kevin Kline e criminalmente sottoutilizzati dalla storia. Le cose succedono con grande rapidità. Nel giro di poche ore, David e Sarah si scambiano sguardi interessati, qualche parola distratta, poi lei chiede a lui di sposarla. La proposta cade nel vuoto, ma è solo l’inizio. Il giorno dopo, partono insieme per un viaggio.
Sarah e David non riescono a costruire nulla di emotivamente e sentimentalmente soddisfacente. A Big Bold Beautiful Journey – Un viaggio straordinario li trascina alla (ri)scoperta di sé in un labirinto di ricordi, più o meno benevoli e fondamentali per capire chi sono e perché facciano tanta fatica a lasciarsi andare. Le macchine che hanno scelto non sono macchine qualunque, e le tappe del viaggio non sono tappe qualunque. All’inizio di ogni tappa c’è una porta, e dietro ogni porta un posto speciale, sempre diverso: il liceo di David, la sala d’attesa di un ospedale per Sarah, un faro, la casa e i giochi dell’infanzia. L’odissea esistenzial/sentimentale dei personaggi è il viaggio nel tempo perduto dell’infanzia per recuperare e riconoscere gli attimi, più o meno significativi, che hanno contribuito a definire (o sabotare) la stabilità emotiva e sentimentale dell’età adulta. Tornare indietro, fare i conti con il passato, liberarsi dai fantasmi e ripartire; è una morale semplice, lineare, assistita da un equilibrio intelligente tra fantasia dell’intreccio (il viaggio) e realismo psicologico. E allora perché il film fatica così tanto?
Due grandi attori possono aiutare un film imperfetto, ma non bastano

David non riesce a conciliare l’immagine che di sé ha nel presente con il ricordo del padre (Hamish Linklater) e del suo commovente incoraggiamento. Ha passato tutta l’infanzia a ricordargli quanto fosse speciale e, ora che è cresciuto, David sente di averlo deluso, perché di speciale nella sua vita non trova nulla. Anche Sarah si sente in colpa, ma con sua madre (Lily Rabe) e per ragioni diverse, che è bene non spoilerare. Basti sapere che i bambini infelici di ieri hanno portato ad adulti frustrati e un po’ immaturi, sentimentalmente parlando. Per risolvere il problema, A Big Bold Beautiful Journey – Un viaggio straordinario fa del tempo e dello spazio materia malleabile; è (letterale) la porta che lega il passato e il presente e mette i protagonisti di fronte alle rispettive vulnerabilità, per spingerli al riscatto e cucinare il più classico lieto fine hollywoodiano. Tenendo a mente, e questa è la migliore strizzatina d’occhio riservata dal film al pubblico, che si può essere per sempre felici e contenti solo finché le luci in sala sono spente. Dopo – sono i personaggi a ricordarcelo, in modo un po’ obliquo – l’eterna felicità è nelle mani, nell’immaginazione, dello spettatore.
Il buono di A Big Bold Beautiful Journey – Un viaggio straordinario è il talento innato di Colin Farrell e Margot Robbie sposato alla dedizione alla causa del duo, alla voglia di aggrapparsi a tutto quello che c’è di meritevole, nella storia, per portarla a un livello superiore. Il film è nobilitato, ma solo in parte riscattato, dal talento, dal prestigio e dalla serietà d’approccio dei protagonisti. Per un po’ funziona, ma oltre un certo punto non si può proprio andare; e Margot Robbie e Colin Farrell, al di là di quell’invisibile barriera, non riescono a spingersi. È la pigrizia, meglio, l’indisponibilità della storia a tirar fuori il massimo dalle premesse, che fa la differenza in negativo.
La statica regia di Kogonada e il macchinoso script di Seth Reiss, contraddetti dai toni calorosi della fotografia di Benjamin Loeb (anche qui, non basta), mettono in piedi lo scheletro di un on the road. Mancano i muscoli, i tessuti, il sangue, le connessioni nervose; manca, soprattutto, l’anima. Incredibilmente didascalico – l’idea del viaggio scandito in tappe in cui ogni tappa è inaugurata da una porta, è ossessiva e inerte – al film fa difetto anche la coerenza necessaria (estetica, formale) a bilanciare la parte (i singoli episodi) con il tutto. Resta l’idea di fondo, la premessa coraggiosa che riscrive, giocando con il tempo e lo spazio, i codici della commedia sentimentale hollywoodiana. Ma sono tracce, e niente di troppo definito. Ovviamente, per ogni regola c’è anche un’eccezione.
A Big Bold Beautiful Journey – Un viaggio straordinario: valutazione e conclusione
E l’eccezione, qui, è la “porta” liceale di David, la rievocazione del giorno che gli ha cambiato la vita, la performance scolastica del musical “How to Succeed in Business Without Really Trying” che lo costringe a confrontarsi con il doppio demone: aprirsi agli altri, Sarah compresa – Colin Farrell mette in gioco ogni millimetro della sua fisicità vulnerabile, con pieno successo, sorretto dall’esuberanza controllata di Margot Robbie – e farsi spezzare il cuore dal primo amore (Chloe East). È il solo momento in cui il realismo e la disponibilità al fantastico legano in maniera costruttiva, il solo in cui l’eccezionalità (carismatica, seducente) dei protagonisti si intona a una verità psicologica soddisfacente, ben calibrata (il trauma del rifiuto e della solitudine). Forse A Big Bold Beautiful Journey – Un viaggio straordinario aveva di fronte a sé troppe porte, e l’imbarazzo della scelta lo ha portato a disperdere le sue energie. Un film con tante piste e poche soluzioni – nobilitato dai suoi protagonisti che diventano la sua ragion d’essere – ha troppa fede negli attori e non abbastanza in se stesso. Finisce per posargli troppo peso sulle spalle. E gli attori, oltre quel limite, non possono andare.