6:06 – recensione del film di Tekla Taidelli, da Venezia 82

Un racconto intenso e vitale, un film che tocca le corde più profonde dell'animo umano.

6:06, ogni mattina come una coazione a ripetere. Ogni giorno. Tutti i giorni, come una maledizione, come un trip senza fine. Questa è la vita di Leo, un giovane di ventisei anni interpretato da Davide Valle, protagonista di 6:06, film di Tekla Taidelli, a cui è stato conferito il Premio SIAE al talento creativo 2025, presentato alle Giornate degli Autori, a Venezia 82. Qualcosa entra nell’ingranaggio e Leo si sveglia dal torpore; è sufficiente un incontro, una persona che porti luce dove c’è solo bianco e nero.

6:06. La vita di Leo tra bianco e nero e dolori

Leo è impegnato a mantenere un lavoro precario per sostenere la sua dipendenza. Non vive per altro, non vive di altro, è come se abitasse in un loop temporale, come se vivesse la stessa giornata più e più volte. Taidelli intende mostrare allo spettatore con questo espediente narrativo l’incapacità di sfuggire a un destino che sembra già segnato, per questo il mondo di Leo è in bianco e nero, un universo piatto e senza sfumature. Vaga assieme agli amici, tra una striscia e l’altra, vive situazioni marginali, lo scopo è uno, uno soltanto, procurarsi la dose successiva per sballarsi ancora una volta. Appare chiaro, la dipendenza da sostanze non è una questione del corpo, o almeno non solo, ma anche della mente, e lo si comprende da questo eterno ripetersi, le giornate uguali le une alle altre. Infatti quella di Leo è una vita con una struttura circolare che riporta sempre allo stesso punto. La sua condizione vuol dire vedere sfocato, essere sfocato e non c’è nulla che può farti uscire da quell’ottica, o forse così sembra.

Taidelli, già con il suo esordio Fuori Vena, ha dimostrato di avere un occhio attento, con un approccio narrativo e visivo che la stessa regista definisce “neorealismo underground”, ed è così intenso, vitale anche quando si parla di certe tematiche proprio perché prende spunto da esperienze personali e quindi evidentemente sentite, vibranti di umanità.

Il colore. L’incontro con Jo-Jo

Tutto cambia quando nella vita di Leo entra Jo-Jo (George Li Tourniaire), un giorno per caso, la routine del ragazzo si spezza e il bianco e nero diventa colore. Jo-Jo modifica l’equilibrio statico della vita di Leo. Si apre lo sguardo, il piccolo mondo, sempre identico a sé stesso, lascia spazio ad uno molto più grande, i confini si rompono e la luce filtra dappertutto. Leo è costretto a mettersi in discussione, a confrontarsi con l’altro, con il fuori, con le altre ore del giorno, non ci sono solo le 6:06. Taidelli non racconta uno stravolgimento totale, nonostante il medico parli di miracolo quando Leo, in ospedale, si risveglia senza troppi problemi dopo il grave incidente subito, ma mostra che per il suo protagonista c’è una possibilità di riavvolgere il nastro e ricominciare.

Jo-Jo, una sconosciuta, un enigma, reduce da un lutto profondo (la morte della zia), insegna al ragazzo ad aprire gli occhi, a vedere colori nuovi. Leo è incastrato e ingabbiato nella sua mente e nel suo corpo, sempre in preda alla cocaina, Jo-Jo è determinata, prima silenziosamente, poi in francese, poi parlando la stessa lingua, a prendere con sé il  giovane, portarlo fuori dal buco nero in cui è caduto e ridargli in qualche modo speranza.

Jo-Jo: “Tu non capisci un cazzo? La vita ti ha scelto”

Lo scuote sempre Jo-Jo, non lo lascia mai da solo e anche quando sembra scivolargli via dalle mani, lo riprende con tutta la sua forza, tirandolo, urlandogli addosso tutto ciò che pensa di lui. Fondamentale per il percorso dei due è il viaggio che faranno in Portogallo, un’avventura che non è solo fisica, ma anche interiore. Tra un chilometro e l’altro, si scoprono, si mostrano per quello che sono, parlando faccia a faccia con i loro mostri.

6:06. Senza retorica, la regista commuove e fa respirare

Leo: “me sta a mancà l’aria”

6:06 non usa nessun tipo di retorica, parla chiaro senza fare mai un passo indietro. Leo si sente soffocare mentre cerca di stare lontano dalla droga, ricade nella cocaina, si sente perso e solo proprio come si è sentito sempre. Jo-Jo ha perso qualcuno (la morte della zia è uno strazio con cui deve fare i conti), sa cosa vuol dire sentire la mancanza di chi non c’è più, ma vive l’esistenza in un altro modo, mostra a Leo come si respira e si inspira, va a cercarlo ancora e ancora. Non accetta quando il ragazzo le dice, “So fatto così… come m’hai visto stasera”, come se la sua dipendenza fosse una strada da cui è impossibile svincolarsi. Il dialogo che instaurano è aldilà dalla lingua, di qualsiasi grammatica. La loro comunicazione si posiziona su un altro piano, c’è un luogo in cui loro giocano, si toccano, si sfiorano, ci sono solo loro in una sorta di presente eterno. Dopo che i due si sono incontrati, il loro diventa un percorso condiviso, si riconoscono ed è questo fondamentale. Condividere, vivere insieme, scambiarsi lacrime, dolori, storie è più importante quasi del guarire le proprie ferite.

6:06 – valutazione e conclusione

Taidelli compone un racconto intenso e vitale, un film che tocca le corde più profonde dell’animo umano. Come un quadro ricco di colori e di sfumature, la regista è in grado di parlare al tempo stesso di rinascita e morte, pace e tormento, amore e bisogno di pensare a sé stessi. Grazie al lavoro speciale di Davide Valle e di George Li Tourniaire, alla musica potente quando accompagna il trip ma anche l’amore tra Leo e Jo-Jo, la storia autentica di questi due ragazzi che si incontrano per caso, ma per scelta, poco importa per quanto, si cambiano reciprocamente la vita, è una fotografia struggente e reale di quanto alla fine, proprio come dice Leo: “Non devi vincere, devi imparare a combattere”.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4.5
Sonoro - 4
Emozione - 4

4.1