Triptych: recensione della miniserie thriller Netflix

Dal Messico una miniserie thriller che prende spunto dalla vicenda narrata nel pluripremiato documentario Three Identical Strangers, rielaborandone storia e personaggi. Dal 22 febbraio su Netflix.

Che cosa faresti se scoprissi che l’esistenza che hai vissuto è tutta una menzogna e per di più di avere uno o più fratelli gemelli dai quali sei stato separato alla nascita? A queste domande aveva a suo tempo risposto Tim Wardle quando nel drammatico e scioccante documentario Three Identical Strangers aveva raccontato l’incredibile vicenda realmente accaduta e dalle sfumature quasi horror di Bob, Eddy e David. Al temine della visione si giungeva alla sconcertante verità e alla folle motivazione che c’era dietro quella separazione, ma soprattutto al fatto che i tre protagonisti non fossero gli unici ad avere subito una sorte brutale come quella. Ed è da questo presupposto che è partita la showrunner Leticia Lopez Margalli per dare forma e sostanza alla storia al centro della miniserie Triptych, rilasciata il 22 febbraio 2023 su Netflix.

Triptych, recensione, cinematographe.it

La componente mistery alimenta il tessuto narrativo di una serie thriller che punta tutto sulla tensione e i colpi di scena

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Negli otto episodi da 45 minuti circa cadauno, affidati alla regia di Leonardo D’Antoni, si ricostruisce in chiave fiction e romanzando la storia di tre gemelle messicane che 33 anni dopo essere state separate a loro insaputa, ignorando così l’esistenza le une delle altre, scoprono la dolorosa verità. Tutto ha inizio quando la prima, un medico forense di nome Becca, si trova davanti al cadavere di una donna uguale a lei, tale Aleida, al cui ritrovamento seguirà poi l’incontro con la terza sorella, l’attrice e ballerina Tamara. Prende così il via una reazione a catena che porterà le  protagoniste di Triptych a fare i conti una volta per tutte con il loro inquietante passato. Viene da sé che la componente mistery alimenta il tessuto narrativo di una serie thriller che punta tutto sulla tensione e i colpi di scena, che ovviamente alla pari dell’epilogo saranno meno efficaci per quella fetta di pubblico che aveva avuto modo di vedere Three Identical Strangers. Anche se storie, personaggi e ambientazioni sono differenti, le dinamiche e le analogie tra il suddetto documentario e Triptych sono piuttosto evidenti. Il ché incide in maniera significativa sull’effetto sorpresa e di conseguenza sulla linea gialla della serie, sugli sviluppi e sulla conclusione.

Una linea melodrammatica troppo invasiva finisce con il depotenzializzare quella mistery

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Coloro che invece sono a completo digiuno potranno godersi a pieno uno show che salvo futili digressioni, che dilatano gli episodi rispetto alle reali esigenze del plot, riesce a coinvolgere il fruitore. Per farlo la creatrice e il regista di Triptych fanno leva principalmente sul fattore thriller, attraverso una sequela di depistaggi, false piste, indizi e cliffhanger che puntuali come orologi svizzeri arrivano al termine di ogni episodio per rilanciare quello immediatamente successivo. Un lavoro, questo, che il più delle volte dà i suoi frutti, se non fosse per l’altra linea, quella melodrammatica, che scorre parallelamente a quella mistery depotenzializzandola. La scelta di dare ampio spazio alle vicende sentimentali e alla relazione travagliata tra Becca e il detective Umberto, spezza troppe volte e inutilmente il flusso investigativo, sfociando persino nel melieu narrativo, nell’afflato  e nello stile tipico della soap opera. Un ridimensionamento in tal senso avrebbe sicuramente giovato, perché la ricerca di un equilibrio tra melò (con tanto di scene bollenti sopra e sotto le lenzuola che a intervalli regolari si presentano) e thriller qui non ha motivo di esistere.

La tripla performance di Maite Perroni nei panni delle gemelle protagoniste ne mette in evidenza la versatilità e la capacità camaleontica di entrare nei personaggi

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In Triptych dunque si indugia più del richiesto sulla trama adulterina e sui rapporti sessuali tra i due personaggi, che non aggiungono altro se non minutaggio e futili riempimenti. Gli autori strizzano l’occhio a thriller dalle venature erotiche in stile Basic Instinct per aggiungere un bel po’ di pepe alla ricetta, finendo però con lo sbagliare i calcoli e ritrovarsi con delle segmenti di storia che hanno il retrogusto urticante di una tenenovela sudamericana old style. È questo il vero tallone d’Achille di una miniserie altrimenti ben confezionata, soprattutto dal punto di vista fotografico e sonoro, oltre che attoriale, con la tripla performance di Maite Perroni nei panni delle gemelle che ne mette in evidenza la capacità camaleontica di passare senza soluzione di continuità da un personaggio all’altro senza mai perdere di credibilità.   

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3
Sonoro - 3.5
Emozione - 2.5

3.2

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